La sentenza della Terza sezione civile della Cassazione, depositata il 22 ottobre scorso, ha accolto il ricorso di Luisa Davanzali, erede di Aldo, patron della compagnia aerea Itavia fallita sei mesi dopo il disastro di Ustica del giugno 1980. Ai Davanzali la Corte d’appello di Roma aveva posto il veto alla richiesta di risarcimento danni allo Stato, non tenendo conto di eventuali depistaggi che le indagini avrebbero potuto subire. Secondo la Cassazione, ora invece il verdetto d’appello “erra” nell’escludere “l’eventuale efficacia di quella attività di depistaggio” e l’effetto sul dissesto.
La vera novità di questa nuova sentenza, che si accoda alle diverse emesse negli anni sul caso Ustica, è proprio il riconoscimento del nesso di causa-effetto tra i depistaggi che condizionarono le indagini intorno all’esplosione del DC9 già nel 1980, e il fallimento della compagnia proprietaria dell’aereo precipitato, l’Itavia. In merito alle cause dell’esplosione del DC9, la Corte si era già pronunciata il 28 gennaio 2013, con una sentenza storica che aveva riconosciuto nell’impatto con un missile la causa dell’esplosione del DC9 Itavia, condannando lo Stato italiano a risarcire i famigliari delle vittime della strage per non aver garantito con sufficienti controlli radar civili e militari la sicurezza dei cieli.
Nell’ultima sentenza, appunto, la tesi del missile è riportata come “ormai consacrata nella giurisprudenza” della Corte: i media hanno giustamente posto l’accento su questa notizia, in quanto rafforza significativamente una verità processuale che ha faticato a trovare un riconoscimento in sede giudiziaria. L’Italia dovrebbe ora poter chiedere ai governi degli altri paesi implicati nella vicenda di collaborare concretamente al fine di scoprire da dove è partito il missile e di che nazionalità era; un impegno forse rafforzato dal disegno di legge che è stato presentato il 24 ottobre scorso in Parlamento per chiedere l’istituzione di una commissione bicamerale d’inchiesta sul caso Ustica.
In ogni caso, ancora una volta sarà anche l’orientamento dell’opinione pubblica a influire sulla determinazione del nostro Paese nel voler ricercare una verità che potrebbe dire molto anche in sede storiografica circa gli equilibri diplomatici europei e mediterranei degli anni Ottanta. Su questo tema si sta concentrando la ricerca di una giovane studiosa italiana, Cora Ranci, svolto nell’ambito di un corso di dottorato in Politica, istituzioni, storia dell’Università degli Studi di Bologna. Quando il suo velivolo precipitò dal cielo di Ustica, l’Itavia era una piccola compagnia privata entrata faticosamente in competizione con la compagnia di bandiera, finendo ben presto nel mirino di sindacati e dei partiti di sinistra ostili alle concessioni ai privati delle linee aeree per il trasporto pubblico. Subito dopo l’esplosione in volo, nonostante fosse risultata chiara l’anomalia dell’incidente, l’ipotesi che prese piede fu quella del guasto aereo dovuta appunto all’inadeguatezza dell’Itavia.
La formula con cui questa teoria si diffuse all’opinione pubblica tramite la stampa e il Parlamento fu quella di “cedimento strutturale”, come la Ranci documenta nel suo lavoro, al momento ancora in corso di elaborazione. Sul piede di guerra si erano posizionati immediatamente la Filt-Cgil, alcuni esponenti del Pci (non l’Unità, però), il quotidiano Repubblica, e altri esponenti politici di sinistra e repubblicani.
La campagna di stampa contro l’Itavia avrebbe del resto mostrato subito la sua efficacia: ad una settimana dal disastro, tutti i gruppi politici al Senato, ad eccezione del Msi, sottoscrissero una mozione comune che chiedeva di fatto lo scioglimento dell’Itavia e il trasferimento delle sue licenze di volo all’Alitalia. L’Itavia si trovava allora già gravata dai debiti, e il disastro di Ustica fu il classico “colpo di grazia”, come ha riconosciuto anche la Cassazione: la compagnia si trovò infatti costretta a sospendere subito il servizio.
Quando, nel dicembre 1980, il ministro dei Trasporti di allora, il socialista Rino Formica, si apprestò a firmare il decreto di revoca delle concessioni all’Itavia, che avrebbe definitivamente messo la parola “fine” alla sua storia imprenditoriale, il presidente della compagnia Aldo Davanzali protestò inviando al ministro una lettera aperta in cui sosteneva che l’Itavia si era trovata improvvisamente in difficoltà a causa della tragedia di Ustica, le cui responsabilità non sarebbero state però addossabili alla compagnia, dal momento che si riteneva “certa” la distruzione del DC9 ad opera di un missile. Le dichiarazioni di Davanzali furono definite “clamorose” dalla stampa, ma il discredito in cui era piombata l’Itavia ne delegittimò automaticamente la voce. Cora Ranci sottolinea inoltre come Davanzali fosse anche stato indiziato per il reato di “diffusione di notizie esagerate e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico” dal magistrato che stava indagando su Ustica, Giorgio Santacroce, l’attuale presidente della Corte di Cassazione, secondo cui quella del missile era una possibilità e non una certezza (nel dicembre 1980, infatti, la commissione d’inchiesta ministeriale aveva accertato che era stata un’esplosione la causa del disastro, ma non si era ancora riuscito a stabilire se essa fosse avvenuta esternamente o internamente all’aereo). Per l’Itavia si sarebbe così profilato inevitabilmente l’assorbimento da parte della compagnia di bandiera e il commissariamento straordinario.
Di contro, la sentenza della Cassazione riconosce adesso che i tentativi di depistaggio ad opera di ufficiali dell’Aeronautica militare – che distrussero e manipolarono le prove – hanno effettivamente depistato le indagini sulla strage di Ustica, indirizzandole verso inesistenti responsabilità attribuite all’Itavia.
La ricerca della Ranci punta anche a dimostrare che questi depistaggi volontari furono facilitati dai “depistaggi involontari” che conseguirono alla strumentalizzazione politica e mediatica dell’incidente; in questo senso, l’Itavia nel 1980 avrebbe costituito un facile capro espiatorio non solo per chi aveva interesse a occultare le prove della reale causa della strage, ma anche per chi vedeva nell’impatto suscitato da una sciagura aerea uno spazio per conseguire obiettivi politici a essa preesistenti.
In quest’ottica l’Itavia si potrebbe anche considerare doppiamente vittima: non solo dei depistaggi dell’Aeronautica, come afferma la Cassazione, ma anche di una strumentalizzazione specchio di una certa stampa rispondente a interessi politici, e a una politica che in quel momento appiattì la sua azione su quanto veniva veicolato all’opinione pubblica. Con la sua sentenza, oggi la Corte di Cassazione ha indubbiamente reso giustizia ai discendenti di Aldo Davanzali; si spera che presto le indagini e la storia si incaricheranno di individuare i mandanti, e rendere infine giustizia alle 81 vittime di quel tragico 27 giugno.