LIPSIA – Caro direttore,
ho visto che il Corriere della Sera si è occupato nuovamente della caduta del Muro, perché il giornale ha avuto accesso ai telegrammi cifrati tra militari e organi di sicurezza della Germania dell’est: (cfr. “Berlino 1989, i documenti segreti. C’era l’ordine di sparare sulla folla”, di L. Offeddu,10 dicembre 2013). Ovviamente come insegnante non ho un accesso a questo tipo di documenti segreti, ma credo di poter dare ugualmente una testimonianza su quegli avvenimenti, che ho vissuto in prima persona e che ho cercato di ripensare anche a livello didattico.



Con un sacerdote italiano di Venezia, don Natalino Bonazza, allora rettore dell’Istituto Giovanni Paolo I di Venezia, avevamo organizzato a venti anni dalla caduta del Muro un incontro di licei dall’Italia (Alexis Carrel di Milano, Collegio Rotondi di Gorla Minore e Marcello Candia di Seregno) e dalla Slovenia (Škofijska klasicna gimnazijadi Ljubljana) e dalla Germania (Christophorusschule del CJD-Droyssig), un incontro scolastico sugli avvenimenti della caduta del Muro dal titolo “1989 – Berliner Mauer – 2009. Quale speranza hanno i giovani in Europa?”, che ha poi preso forma anche in un libro della Marcianum Press: Oltre il Muro, 1989-2009, in cui viene documentato il lavoro di due pittori veneziani, Serena Nono e Daniela Bianchi, che con le informazioni che i ragazzi del Giovanni Paolo I avevano raccolto nei giorni comuni a Droyssig e Lipsia avevano pitturato, con la tecnica dell’acquarello, immagini molto suggestive sul tema del Muro e dela vita in uno Stato controllato dalla “Stasi” (Staatssicherheit).



Credo che l’articolo citato del Corriere della Sera metta bene in evidenza il motivo per cui non vi sia stata un attacco violento del regime sulle proteste pacifiche, che proprio qui a Lipsia hanno avuto uno dei centri più attivi, in primo luogo nella Chiesa di san Nicolai: “Perché c’era Gorbaciov. Perché tutta la protesta partì dalle chiese, con lo slogan ‘niente violenza’ (anche se questo non avrebbe certo frenato un Mielke). Perché resisteva una qualche forma di senso morale: alcuni disertarono con le armi, altri scrissero ‘non sparerò sul mio popolo’ finendo poi in cella; 4 capi della Stasi si suicidarono” (Corriere della Sera, ibidem).



Forse l’articolo, con la sua attenzione a questi aspetti “drammatici” dei telegrammi cifrati, corre il rischio di non far comprendere bene che il senso morale nella Ddr non era solamente presente in una “qualche forma”, ma aveva una precisa connotazione umanistica, nel senso che il regime della Ddr sviliva l’uomo e che molti cittadini non potevano più conciliare con la propria coscienza questo svilimento; a questa impossibilità morale la Chiesa evangelica ha saputo dar forma, in quella che è certamente una delle più spettacolari lotte non violente ad un regime che regnava ormai da esattamente quaranta anni – Michail Gorbaciov era stato in quel periodo in Germania proprio per il festeggiamento del 40esimo anniversario della fondazione della Ddr (1949-1989) – e che non si sarebbe mai pensato, ancora qualche mese prima della caduta, potesse fallire così velocemente.

Visti dall’oggi però quegli avvenimenti, come anche quelli forse più “originali” e forse più specificamente cristiani di Solidarnosc in Polonia sembrano davvero così lontani, che ci si può porre la domanda se la sfida di speranza e libertà lanciata allora, abbia messo realmente radici profonde nell’ Europa di oggi. 

È innegabile che a più di venti anni dalla caduta del Muro vi sia un fenomeno, che noi qui chiamiamo di Ostalgie (nostalgia dell’est). Se è vero che la società capitalistica nell’era della globalizzazione può essere vincente solamente irrigidendo le forme di lavoro e di controllo e che altre forme di controllo del pensiero (ciò che oggi in Europa viene considerato politicamente corretto?), per esempio nel dibattito pubblico, sono sempre più rivelatrici di rigidità che di libertà, allora ci si può chiedere se quella grande rivoluzione non violenta abbia, dopo l’entusiasmo iniziale, portato più ad una certa sfiducia nelle azioni politiche, di qualunque colore esse siano, che ha una vera educazione politica, che certamente non viene rafforzata con racconti solo drammatici degli ultimi giorni della Ddr.

In fondo la vera speranza nata in quei giorni consiste nel fatto che attraverso la caduta del Muro si è ampliata la possibilità di incontro anche con persone che prima vivevano isolate dal resto del mondo (o per lo meno del nostro mondo). Ma l’incontro porterà frutti solamente se, con una certa umiltà e discrezione, ci facciamo sempre più attenti ascoltatori di tanti destini che dopo le prime speranze nate con la caduta del Muro, sempre più si chiedono: qual è la vera speranza che può permettere non tanto di analizzare i sistemi, ma di vivere − una volta che essi, come tutte le cose umane, sono passati − nel sistema che per l’appunto ci si trova a vivere ora? Proprio questo, infatti, non è privo di quelle stesse contraddizioni che potrebbero portare ancora oggi a ciò che Clive Staples Lewis chiamava “the abolition of the man”.

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