LIPSIA – Caro direttore,
la ricezione di papa Francesco in Germania corrisponde al giudizio che Lucio Brunelli, nel suo dossier del TG2 trasmesso di recente ha dato sull’incapacità di un certo pubblico conservatore, credente e non credente, di comprendere il nuovo pontefice.

Per questo tipo di cattolici conservatori avremmo – per dirne una – una sede vacante dal febbraio di questo anno, il mese in cui papa Benedetto XVI ha lasciato la guida della Chiesa come papa.



Alcuni dicono apertamente che papa Francesco concepisce il suo pontificato in forza del culto della sua personalità e che dietro l’umiltà si nasconde una superbia diabolica; altri sono più prudenti e aspettano con ansia il primo errore dottrinale per dire “avevamo ragione a dubitare di lui”.

Una settimana fa un articolista della Frankfurter Allgemeine Zeitung, Daniel Dekers, nella prima pagina del quotidiano ha parlato invece di Francesco come colui che “scioglie i nodi”, riferendosi ad un’immagine sacra – nella quale Maria per l’appunto scioglie i nodi – che Jorge Mario Bergoglio aveva trovato ad Augsburg negli anni ottanta e che aveva reso famosa nei quartieri poveri di Buenos Aires.



A differenza di Lucio Brunelli, che senza negare la propria professionalità, nel dossier del Tg2 confessa la sua stima ed amicizia per papa Francesco, Daniel Deckers, il biografo del cardinal Karl Lehmann, rimane ad un livello più neutrale, forse di simpatia, ma più di constatazione: si tratta forse, nel caso del consenso per il papa dei maggiori mezzi di comunicazione – per esempio Deckers cita la decisione del Time di nominare papa Francesco come “la personalità dell’anno”) – di una luna di miele come quella avuta nei primi momenti del pontificato di Giovanni Paolo II o della presidenza di Barack Obama? Nel caso del primo, si passò a vedere in lui una figura esclusivamente reazionaria per quanto riguarda la Chiesa e la morale; nel caso del secondo, si è arrivati ad un giudizio disincantato, non essendo riuscito il presidente Obama a distinguersi realmente dalla figura del predecessore, Georg W. Bush, per quanto riguarda la pace e la fiducia tra i popoli.



Deckers, che giustamente mette in rilievo che il tema che realmente importa al pontefice è “l’incontro personale di ogni uomo con Gesù Cristo, redentore e liberatore”, presenta papa Francesco non solo come uno che vuole una riforma della Chiesa, ma la Riforma (Reformation è il termine, usato dal giornalista, con cui si presenta l’azione ecclesiale di Martin Luther), addirittura una rivoluzione; una posizione destinata a suscitare attese che preoccupano molti conservatori nella Chiesa, i quali per ora, a parte i social media, sono ancora piuttosto in sordina. 

Ma che faranno arrabbiare gli altri quando si accorgeranno che, ovviamente, Jorge Mario Bergoglio (prima) e papa Francesco (poi) non hanno mai pensato “l’autodeterminazione sessuale della donna come un salvacondotto per uccidere bambini non ancora nati o lo sposalizio per omosessuali come una conquista di civiltà”.

Tuttavia, ci sono anche quelli che − a proposito dei primi otto mesi di pontificato di papa Francesco − non sono affatto in tale posizione di attesa, al pari di conservatori e progressisti, i primi in attesa di un errore dottrinale, i secondi in attesa di capire se faccia realmente sul serio con la sua rivoluzione della tenerezza, per chiamarla così. Ma che pregano piuttosto che il Signore lo faccia realmente capace di sciogliere i nodi in cui siamo allacciati nella nostra fede e nelle nostre opere, e che testimoniano il limite e i tradimenti di cui è capace il popolo cristiano.

Mi limito a testimoniare, vivendo nella regione della riforma di Martin Luther e nei territori, per quanto riguarda la storia più recente, in cui per quarant’anni i comunisti sono stati al potere, che Francesco mette in movimento processi impensabili fino ad alcuni mesi fa. Per esempio una collega, con cui mi sono trovato a parlare di Christa Wolf, scrittrice che forse si era opposta al regime della DDR, ma che aveva vissuto in esso per tutta la vita, e che in uno dei suoi ultimi romanzi, Stadt der Engel oder The Overcoat of Dr Freud (Suhrkamp, 2010; it., “La città degli angeli”, 2011, ndr) parlava del complesso di inferiorità dei cristiani nel loro bisogno di presentarsi come superiori, dagli affari alla fede (cfr. p. 16); bene, dicevo, questa collega mi ha chiesto di leggere la presentazione della Evangelii Gaudium, perché aveva percepito una novità nel modo di essere, pensare ed agire di papa Francesco.

O, per fare ancora un esempio, il mio vicino di casa, un uomo semplice che fa il giardiniere ed appartiene alla chiesa avventista del settimo giorno, mi ha chiesto se potevo procurargli la traduzione della Evangelii Gaudium perché gli sembrava, sebbene avesse qualche dubbio per il fatto che il papa è gesuita, che Francesco parlasse proprio di Gesù, senza nessun irrigidimento dottrinale.

Concordo con Lucio Brunelli e con Daniel Deckers che tra papa Francesco e il papa emerito Benedetto XVI vi siano un diverso stile, ma lo steso amore per Gesù Cristo, che ci vuole incontrare attraverso la sua sposa, la Chiesa (una Chiesa aperta fino alle periferie esistenziali del mondo), e mi chiedo, con umiltà e con profonda commozione, cosa ci voglia dire il Signore con quest’uomo che i cardinali, il 13 marzo scorso, hanno scelto per diventare papa, “strumento della Sua volontà salvifica”, come avrebbe detto sant’Ignazio. Una domanda che tutti i tradizionalisti (ma anche i progressisti) dovrebbero porsi. 

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