Nei primi anni del Cinquecento, Giorgione ha dipinto una piccola Adorazione dei pastori (cm. 136 x 91), probabilmente destinata a un facoltoso committente veneziano, che la voleva tenere come prezioso oggetto di devozione privata. Conservata oggi alla National Gallery di Washington, la tavola ci cattura immediatamente per lo straordinario senso di simpatia tra il creato, disteso sotto le prime luci aurorali, e il fatto più importante della storia dell’umanità: la nascita di Gesù. Tutto appare straordinariamente naturale e provvidenziale.
La felice ambientazione paesistica non è però assolutamente casuale. Giorgione l’ha costruita e concepita su due livelli differenti. Sulla sinistra colli, balze rocciose, strade e corsi d’acqua discendono luminosi dal fondo verso il primo piano, quasi a confluire in un largo e armonico movimento di cromie brune e verdastre verso il traguardo del lungo cammino dei due pastori, finalmente giunti davanti a Dio fatto Bambino.
Il primissimo piano della Natività, spostato sulla destra, è invece dominato da una monumentale grotta, una grande spelonca che sprofonda in una misteriosa oscurità, oltre le sagome rassicuranti del bue e dell’asinello. La Sacra Famiglia è proprio sulla soglia. San Giuseppe, avvolto in un luminoso mantello arancione, col copricapo che ne identifica l’appartenenza ebraica, è esattamente sul limite tra interno ed esterno; il suo distacco verginale è accentuato dalla roccia e dalla greppia che funzionano come una transenna naturale, alla quale il vecchio canuto si appoggia inginocchiandosi in preghiera.
Maria e il Bambino si sporgono all’aria e alla luce: è proprio la figura della Vergine a stagliarsi sul buio della grotta con vittorioso contrasto: “La luce splende nelle tenebre”. Dio fatto uomo è la nuova soglia, il nuovo abbrivio per il destino di ognuno e di tutti. Maria è pure in adorazione del figlio appena partorito. Dal delicato e luminoso volto, spiccato sulla leggera scollatura, scende a terra l’ampio mantello, intensamente blu, che va a sottomettersi al lenzuolino bianco sul quale è disteso Gesù, seguendo una composizione iconografica diffusa a partire dal secondo Quattrocento a significare il parto verginale di Maria e la sua immediata, prima venerazione per il frutto divino della sua gravidanza. Il Bambino, comodamente adagiato, risponde allo sguardo attento della Madre con una mossa spontanea di curiosità e dipendenza. Anche senza i cherubini che svolazzano sulle rocce appare chiaro che sta accadendo qualcosa di sacro.
Noi siamo i due pastori, pochi stracci e un cammino da mendicanti, ma inondati dalla stessa luce che illumina il miracolo dell’Incarnazione, suprema Bellezza.
Non si può fare altro che inginocchiarsi e fissare lo sguardo su quel Bambino, che attira a sé tutto il creato rendendolo nuovo, aperto, luminoso. Così potrà essere per ognuno di noi. L’umanità è riemersa dall’oscura spelonca della morte e del peccato. Forse nella decisa evidenza della grotta c’è anche la profezia della Passione che troverà nel sepolcro il luogo della vittoria definitiva, quella celebrata da un’altra alba, quella della Pasqua.
La familiarità dei luoghi e la naturalezza della luce rendono tutto incredibilmente presente e vero: quello che accade, il suo significato e il suo destino ultimo.