Anche la letteratura italiana ha i suoi angeli. È uscito per Rizzoli Di me diranno che ho ucciso un angelo, una favola intensa e poetica di Gisella Laterza. ILENIA PROVENZI
Natale, tempo di Angeli. Grazie alla tradizione cristiana, l’ánghelos, il “messaggero” dell’antichità, è una figura naturalmente legata alle festività natalizie. L’angelo diede l’Annuncio a Maria, guidò i pastori alla grotta di Betlemme e compare nell’arte sacra, nelle storie, nei film. Di romanzi che parlano di figure angeliche sono pieni gli scaffali delle librerie: angeli Custodi ma anche angeli del Male. Angeli che proteggono gli esseri umani, che li combattono, che se ne innamorano.
Anche la letteratura italiana ha i suoi angeli. Quest’anno è uscito per Rizzoli Di me diranno che ho ucciso un angelo, una favola intensa e poetica scritta da una giovane autrice, Gisella Laterza. Con lei parliamo della sua storia, in cui si sentono gli echi della letteratura latina, del Piccolo Principe e della poesia italiana.
“Gli angeli, nel romanzo, sono stelle, creature che vivono appese nel cielo, al di fuori del tempo, e contemplano la terra. A un certo punto, l’angelo della nostra storia incrocia lo sguardo di una demone e se ne innamora. Preso dal desiderio di raggiungerla, cade nel mondo degli umani, nella foresta in cui vive la demone. Sente però che sono troppo diversi per raggiungersi davvero, e comincia così un viaggio per diventare uomo. Lei, nel frattempo, senza che lui lo sappia, comincia un viaggio per diventare una donna. Lungo la strada, l’angelo e la demone incontrano personaggi molto distanti fra loro ma accomunati da un intreccio di malinconia, solitudine e desiderio che sembra legare tutti gli esseri umani”.
Sono le parole dell’autrice, una ragazza di ventidue anni che ha iniziato a scrivere romanzi quando ne aveva undici. Una ragazza che, mi racconta, ha cominciato a suonare la chitarra e il flauto, a disegnare e persino a sferruzzare, senza riuscire mai a impegnarsi fino in fondo. “Ma scrivere rimane la passione più grande”: Di me diranno che ho ucciso un angelo è nato diversi anni fa, quando Gisella ascoltava spesso una canzone dei Nightwish, Nemo. “Nel video compariva un angelo”, spiega, “e nel testo di Nemo sono presenti alcuni temi che sono ripresi nel romanzo. Come, ad esempio, la ricerca del nome: l’angelo della mia storia non ha un nome, ha bisogno di qualcuno che sappia donarglielo, e naturalmente solo la persona che ama è in grado di aiutare l’angelo a trovare la propria identità. Com’è scritto in quella canzone: Touch me with your love, and reveal to me my true name“.
Già, l’angelo. Com’è nato, le chiedo, il protagonista del libro? “Al momento della prima stesura, che risale a quando avevo sedici anni, avevo scritto questa storia di getto, senza sapere cosa significasse: non sceglievo i personaggi, né lo stile, né la trama. Mi sembrava quasi che nascessero da sé, per un loro bisogno prepotente di essere reali”.
È la magia della scrittura, che porta l’autore a creare dei protagonisti destinati a diventare veri, indipendenti, con una voce propria. “Solo più tardi, quando, a vent’anni, ho ripreso in mano il testo per la pubblicazione, ho capito ciò che rappresentava l’angelo per me: la mia adolescenza. Il viaggio dell’angelo che, grazie ai personaggi del romanzo, scopre il mondo è il mio viaggio alla scoperta della vita, delle sue domande, dei suoi misteri”.
Il romanzo di Gisella è un percorso attraverso gli interrogativi che accompagnano la nostra vita, ma è anche una fiaba. E le fiabe “sono il modo più antico e più efficace per decifrare il reale. Per questo il genere fantastico è, paradossalmente, il modo più immediato per raccontare i dubbi esistenziali: le fiabe tradizionali contengono simboli radicati nella nostra coscienza, simboli che agiscono sull’inconscio e che possono arrivare al lettore, soprattutto al lettore giovane, in modo più diretto e decifrabile di un dato reale. Ad esempio, un simbolo molto potente nelle fiabe tradizionali e presente nel mio romanzo è la foresta. La foresta è il luogo in cui l’angelo cade nella sua prima notte nel mondo. Perché? Perché la foresta, come i boschi delle fiabe, come la selva di Dante e come tante altre selve, è il luogo dell’anima, simbolo inequivocabile di perdizione e smarrimento; e perché nella foresta stessa c’è spesso la strada per uscirne e per ricominciare una nuova vita”.
Di quando ero bambina, prima ancora degli eventi che accadevano intorno a me, ricordo le storie raccontate nei libri di fiabe. Chiedo perciò a Gisella quali siano i libri che hanno accompagnato la sua infanzia e lei nomina le fiabe regalate dal papà, Bianca Pitzorno e i romanzi d’avventura: L’isola del tesoro, Il richiamo della foresta, Zanna bianca. “Nella mia adolescenza è stata fondamentale la conoscenza di Calvino”, continua. “Mi ha incantato la sua capacità unica di giocare con le parole con grande consapevolezza, ma anche con un divertimento palpabile”. Poi Tolkien, “acuto filologo e geniale inventore di mondi fatati” e Tolstoj, «pittore dell’animo umano”. Il suo grande amore letterario, però, è Virginia Woolf. “Mi hanno irretito i suoi romanzi, soprattutto Gita al faro e Orlando, e mi ha affascinato e inquietato il suo Diario di una scrittrice: Virginia Woolf vedeva troppo profondamente il mondo, e arrivare al fondo delle cose significa non riemergere”.
Ci salutiamo con una citazione dal romanzo: “Tutti possono ammirare la bellezza della luna, perché risplende ogni notte, tranne in quelle oscure. Ma la bellezza dell’aurora è per pochi, ed è per questo che è più preziosa“.