GERUSALEMME – Raed e Rasmi formano giovani mosaicisti, Khaled accompagna gruppi di studenti a vederli lavorare. Sono palestinesi e credono che per costruirsi un futuro un popolo non possa fare a meno di conoscere le proprie radici, la propria cultura, la propria storia. E allora scelgono di rivolgersi a chi di quel futuro sarà protagonista, i ragazzi, e in modi diversi raccontano loro un’esperienza comune.
Il luogo è nella parte orientale di Gerusalemme, ai piedi del Monte degli Ulivi, tra le mete più visitate ogni giorno dai pellegrini e dai turisti. La Basilica dell’Agonia – o delle Nazioni, perché fu realizzata grazie al sostegno finanziario di moltissimi paesi – è uno dei tanti santuari custoditi dai frati francescani in Terra Santa, memoria dei fatti della notte del Giovedì Santo, la veglia e la preghiera di Gesù nell’Orto degli Ulivi subito prima della sua cattura. La grande chiesa costruita attorno alla roccia dove si consumò l’agonia di Cristo fu costruita sulle rovine di una antica basilica bizantina nel 1924, su progetto dell’architetto Barluzzi. Oggi, per la prima volta, vengono restaurati il tetto e i mosaici della facciata e dell’interno, profondamente danneggiati. Un cantiere aperto da diversi mesi, ormai, coordinato da Ats pro Terra Sancta (l’ong della Custodia di Terra Santa) e dal Mosaic Center di Gerico, da cui arrivano Raed e Rasmi, che ogni giorno si mettono all’opera insieme a un piccolo gruppo di giovani apprendisti.
Il progetto, infatti, prevede che il restauro della basilica vada di pari passo con la formazione. L’idea è quella di riuscire a coinvolgere sempre di più la popolazione locale – a cominciare dai giovani – nella conservazione del proprio patrimonio culturale e artistico, di cui i mosaici sono uno degli esempi più belli. E così Raed e Rasmi, che anni fa si sono formati al mestiere di mosaicista partecipando proprio a un progetto di questo tipo, oggi si mettono a disposizione per tramandare questa abilità che è a anche una passione.
“Se comunichi la tua esperienza a qualcuno – racconta Raed – lui la potrà comunicare a qualcun altro. È un investimento sul nostro futuro e sulla nostra identità”.
I ragazzi lavorano al restauro dei mosaici ma sono anche educati a conoscere la storia della propria terra, la sua cultura e arte. Un modo per cementare il legame con le proprie radici e per fare sì che non venga meno nel tempo l’attenzione per questo ricco patrimonio e per la necessità di conservarlo.
“Non conoscevano il significato di questa eredità culturale − spiega Raed −, sapevano poco dei mosaici, dell’archeologia, del suo significato anche religioso. Giorno dopo giorno li ho visti cambiare. Li ho visti diventare sempre più sensibili, più precisi, più responsabili, più consapevoli di ciò che stanno facendo. Li vedo prendere coscienza di come questo progetto possa essere un punto di partenza per un lavoro futuro. Iniziano a chiedersi dove e come potranno mettere a frutto queste conoscenze. A Gerusalemme – in Palestina, più in generale – le condizioni di vita difficili, la povertà, l’occupazione, per molto tempo hanno distolto l’attenzione dalla conservazione dell’eredità culturale, per questo ci impegnamo in un lavoro educativo che ci permetta di non perderla, di conservare il nostro passato”.
È lo stesso spirito che anima Khaled, che due volte la settimana porta in visita nella Basilica del Getsemani – ad ammirare questo luogo e i lavori di restauro − gruppi di studenti dalle scuole di Gerusalemme Est, la parte araba della Città Santa. Hanno tredici o quattordici anni e molti di loro, musulmani, entrano in una chiesa per la prima volta.
“Quando ho iniziato a proporre la mia idea, devo ammettere di avere raccolto diversi pareri negativi, sia dagli insegnanti che dalle famiglie dei ragazzi – spiega –. Molti erano dubbiosi, si chiedevano se fosse opportuno che accompagnassi i loro alunni, i loro figli, in un luogo cristiano”.
Khaled ha incontrato i genitori, con il sostegno di altri insegnanti che invece erano convinti come lui della bontà di questo progetto.
“Ho cercato di spiegare loro quanto sia importante far crescere la consapevolezza di ciò che tutte le persone di questo popolo – cristiane e musulmane – hanno in comune. Penso che una cosa bella come l’arte, il mosaico, possa essere un mezzo per cementare la nostra cultura, per riscoprirne la storia comune, per mostrare che possiamo convivere con le nostre diversità se conosciamo quello che ci unisce, ma anche se ci conosciamo sempre meglio l’un l’altro”.
Il progetto è partito, e ha successo: “I ragazzi sono curiosi. Parlo loro della nostra storia, della nostra identità e poi dei mosaici. Mi fanno molte domande, che riguardano la chiesa, il cristianesimo, ma anche questo lavoro, il restauro, la conservazione. Molti di loro escono di qui dicendomi che gli piacerebbe potersi occupare di questo… e chissà che tra di loro non ci siano gli apprendisti di domani. Quello di cui sono convinto è che solo conoscendo la propria storia potranno fare qualcosa di buono per il nostro futuro”.