La decisione di Benedetto XVI di rinunciare al pontificato è un atto in qualche modo nuovo, che ha colto (quasi) tutti di sorpresa, ma non è la prima volta che un fatto del genere si verifica nella storia bimillenaria della Chiesa. Il conclave che si aprirà nel prossimo marzo sarà (almeno) la decima volta in cui un papa verrà eletto mentre il suo predecessore è ancora in vita. Escludendo ovviamente i pontefici che furono certamente deposti con la forza (Giovanni XII nel 963 e Benedetto V del 964) ci si trova davanti a sette casi di rinuncia al pontificato prima di quello attuale.



Conviene ripercorrerli brevemente anche per contribuire a correggere notizie affrettate che si sono lette in questi giorni sulla stampa. Si tratta di situazioni molto differenti tra loro, legate a momenti storici particolari (ma quali non lo sono?), su cui talvolta si hanno informazioni frammentarie che sfidano tuttora l’acribia degli storici che cercano di venirne a capo.



Escludendo la leggendaria (come oggi si sa) abdicazione di Clemente I nel 97, e forse altre nei primi secoli, durante drammatici momenti di persecuzione, la prima certa rinuncia al papato fu quella di Ponziano nel 235. Con la morte violenta di Alessandro Severo, ucciso in Germania da una rivolta militare nella primavera di quell’anno, era bruscamente terminato un lungo periodo di tolleranza religiosa e la politica del nuovo imperatore Massimino il Trace si manifestò subito fortemente anticristiana. A Roma, papa Ponziano venne arrestato e condannato ad metalla, cioè al lavoro forzato nelle miniere della Sardegna. La pena della deportazione era normalmente a vita; probabilmente in questa prospettiva, al momento del suo allontanamento da Roma Ponziano rinunciò formalmente al proprio incarico, invitando la comunità ad eleggergli un successore. Fu la prima abdicazione papale e avvenne lunedì 28 settembre 235, data, riportata dal Catalogo liberiano, che costituisce anche il primo elemento biografico registrato con precisione, e non sulla base di deduzioni – per quanto attendibili –, nella storia del papato.



Un secondo, più incerto, caso fu quello di Silverio, che non si sa se considerare di abdicazione o di deposizione: costretto dal generale bizantino Belisario ad abdicare, inviato in esilio in Asia Minore, sostituito dal nuovo eletto papa Vigilio, fu infine richiamato in Italia, dove sembra (su questo importante particolare le fonti non sono certe) che gli venne estorta una rinunzia formale al pontificato pochi giorni prima di morire nel dicembre 537.

L’esilio fu, un secolo più tardi, anche la sorte di Martino I, che aveva condannato una dottrina teologica (il monotelismo) che invece l’imperatore bizantino aveva approvato e anzi imposto come legge con un suo editto. Catturato e trasferito a Costantinopoli, sottoposto a un processo-farsa, fu esiliato in Crimea, dove sopravvisse di stenti fino alla morte che lo raggiunse il 16 settembre 655. A quella data, già da oltre un anno era stato insediato un nuovo papa, Eugenio I. Martino rimase molto colpito dalla notizia, che tuttavia in una lettera sembra (anche qui il dubbio è di rigore perché il testo si presta a diverse interpretazioni) averla accettata. Viene per questo ascritto fra i papi dimissionari, ma certo lo fu forzatamente. 

Priva di certezza è anche la fine del pontificato di Giovanni XVIII nel 1009, che solo alcune fonti (ma non altre abitualmente attente a questi temi) riportano come dovuta alla sua decisione di abbandonare la carica e di ritirarsi in un monastero.

Assai confuso e ancora oggi poco chiarito nelle motivazioni e nelle forme è il caso della rinuncia di Benedetto IX. Nel 1044 era stato cacciato da una rivolta, ma nel 1045 era ritornato in città per alcune settimane dove aveva formalmente rinunciato al pontificato, prima di allontanarsi di nuovo; e la storia non era finita, perché Benedetto ricomparve di nuovo a fare il papa dal novembre 1047 al luglio 1048, unico pontefice che l’Annuario pontificio registra come papa per tre periodi diversi.

Molto meglio conosciuti – anche se sempre discussi – sono gli ultimi due casi di papi che hanno rinunciato al loro incarico. Il primo è quello famoso di Celestino V, sul cui brevissimo pontificato la fantasia si è molto cimentata e la sua abdicazione venne interpretata, già dai contemporanei, in modi contrastanti: alcuni vi scorsero un atteggiamento di viltà (così forse Dante Alighieri), mentre altri (ad esempio Francesco Petrarca) ritennero il gesto del pontefice un atto di grande libertà. Eletto nel luglio 1294 dopo una lunghissima sede vacante durata ventisette mesi, venne chiamato dal solitario eremo abruzzese in cui viveva; non aveva esperienza di governo né conoscenza dei meccanismi della curia ma godeva di una grande fama di santità. Solo qualche mese più tardi fece esaminare sotto il profilo giuridico la possibilità che un pontefice potesse rinunciare volontariamente al pontificato, affidandone lo studio a noti esperti di diritto canonico, fra cui il cardinale Caetani. Ottenuta una risposta positiva (e in effetti la dottrina canonistica ammetteva la possibilità delle dimissioni del papa, anche se discuteva sui modi: davanti a un concilio, o ai cardinali, o autonomamente), il 10 dicembre Celestino pubblicò una bolla con cui si dichiarava che le norme per il conclave (che era stato istituito vent’anni prima da Gregorio X per regolare l’elezione dei pontefici) avrebbero dovuto essere osservate anche in caso di abdicazione. Tre giorni più tardi, davanti ai cardinali riuniti, lesse la formula della propria rinuncia, depose le insegne pontificie e chiese ai cardinali di procedere al più presto all’elezione di un nuovo papa. Cosa che avvenne: dopo dieci giorni ebbe inizio un conclave che in meno di ventiquattr’ore elesse il Caetani, divenuto papa Bonifacio VIII la vigilia del Natale 1294.

La situazione creò subito difficoltà: nell’infondato timore che l’antico pontefice potesse costituire un punto di riferimento per gli oppositori, Bonifacio lo fece porre sotto vigilanza nel castello di Fumone, nei pressi di Ferentino, dove Celestino morì il 19 maggio 1296; corse subito voce che non si fosse trattato di un evento naturale e ancora oggi Bonifacio VIII viene spesso accompagnato dal sospetto di essere stato il principale artefice della rinuncia del suo predecessore al pontificato e in qualche modo responsabile della sua morte. 

L’ultimo caso di rinuncia, il più recente anche se risale a quasi sei secoli fa, riguarda papa Gregorio XII nel 1415. La situazione che si era venuta a creare durante il grave scisma sorto al ritorno a Roma del papato dopo decenni trascorsi ad Avignone, era molto complessa: tre contendenti si ritenevano legittimi pontefici e anni di trattative perché tutti abdicassero non avevano condotto a risultato alcuno. Un concilio convocato a Costanza, dopo alterne vicende, dichiarò deposto il rappresentante della cosiddetta “obbedienza” pisana (era stato eletto da un concilio a Pisa), Giovanni XXIII, il quale venne confinato in Germania. Il papa dell’obbedienza romana, Gregorio XII, si comportò con grande dignità dichiarandosi disposto ad abdicare, ma davanti ad un concilio da lui stesso convocato. La proposta fu accolta e il 4 luglio 1415 il cardinale Dominici lesse la bolla con cui Gregorio XII convocava il concilio (lo stesso che in pratica era già riunito) e subito dopo Carlo Malatesta, signore di Rimini, lesse la rinuncia di Gregorio alla cattedra di Pietro. Il papa, che la Chiesa cattolica considera legittimo, lasciò dunque la carica con una procedura che non dava adito ad alcuna contestazione sotto il profilo giuridico o teologico. Non si procedette tuttavia immediatamente a una nuova elezione, perché il terzo contendente, Benedetto XIII dell’obbedienza avignonese, venne deposto solo due anni più tardi.

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