Abelis è un libro intenso e spiazzante, un fantasy metafisico che inquadra uno dei temi roventi del nostro tempo, ossia l’incapacità sempre più corrosiva di donarsi. Mauro Leonardi prende per mano il lettore con una metafora potente: valenti cavalieri proteggono la fortezza di Arileva dall’attacco dei draghi (per il clima «assiderato» alcune consonanze con il Deserto di Buzzati, per l’atmosfera sospesa, invece, il rimando è alle Città invisibili di Calvino). Peccato però che questi eroi senza macchia e senza paura siano «imbottigliati» in efficacissime corazze che consentono sempre la vittoria contro il male, ma, allo stesso tempo, impediscono una vita come tutte le altre: di ricordi, sogni e, ovviamente, di amore.
L’imprendibile Arileva (la immaginiamo un po’ come la tibetana Lhasa assediata dalle nubi) è così una città sempre salva, ma a cui è stata succhiata l’anima. I gelidi automi che camminano sulle sue merlature non possono essere liberati dalla loro ferreo rivestimento: «Proprio non è possibile. Come una testuggine non può togliersi il guscio, così i cavalieri di Arileva non possono togliersi l’armatura. L’armatura per loro ha il luogo della pelle. […] Quando un uomo diventa cavaliere dimentica tutto, anche di essere un uomo».
L’apparente stasi di questo universo pietrificato è spezzata dall’arrivo di Abelis, un bambino misterioso che è stato rapito e portato nella fortezza per un destino speciale. Dovrà, da presunto figlio di Re, abbandonare l’infanzia, indossare la più perfetta delle armature, per l’ultima battaglia contro i draghi dalle «grandi ali di pipistrello». Sarà proprio la sua vulnerabilità, le sue notti in lacrime, il suo candore («Ma i cavalieri le sentono le carezze?», «Io non riesco a parlare con chi cambia discorso»), il ritmo delle sue domande frontali (come quelle dei poeti) a sgretolare le sicurezze dei cavalieri e a invertire le leve della storia.
Abelis è un’opera difficile da inquadrare e il sottotitolo “romanzo” rischia di essere fuorviante. Dietro il sipario dell’invenzione letteraria (i pochi personaggi e l’atmosfera rarefatta appartengono al dramma teatrale e il modello è La Bottega dell’orefice di Karol Wojtyla), Leonardi fa una radiografia del cuore della nostra società multicaotica. I cavalieri di Arileva si aggirano per le nostre strade. Si vestono di ferro (efficienza, competizione, aggressività) pur di non incontrare l’altro. Cercano sempre e comunque un nemico per evitare di ascoltarsi a fondo: è questo il tragico insegnamento di Ciambellano, l’alchimista nella parte del gran cattivo che cerca di chiudere Abelis nell’armatura: «Io ho bisogno che un nemico si chiami così anche a costo di chiamare nemici tutti coloro che mi stanno vicino e di rimanere solo. Anche a costo di dire all’unico che si credeva amico, che anche lui è un nemico, perché anche lui ha tradito».
Nelle scuole di scrittura creativa si insegnano due princìpi per far funzionare una «storia»: primo, «racconta quello che sai», secondo: «all’inizio il protagonista della tua storia avrà un sogno, poi, arriverà un cattivo che cercherà di lacerare quel sogno». Abelis segue bene queste regole d’ingaggio. Mauro Leonardi, sacerdote e apprezzato autore di libri di spiritualità, incontra ogni giorno confidenze di anime che vogliono dare una svolta alla propria vita o ritrovarne il senso (per averne un’idea basta visitare il suo blog www.mauroleonardi.it). Nella metafora della pelle d’acciaio ha versato la sua esperienza che è poi racchiusa in un concetto essenziale della sua poetica: “Innamorarsi è decidere di esistere”.
Allo stesso tempo, Leonardi ci propone un percorso di redenzione. Un bambino che lotta contro un futuro già scritto e contro molti Golia. Forse qualcuno potrà accostare questo plot alla Strada di McCarthy, ma un ulteriore richiamo cinematografico potrebbe essere Un sogno per domani (2000), film tragico e bello di Mimi Leder con un ottimo Kevin Spacey. Anche in questo caso il protagonista era un bambino a cui proprio non andava il mondo di finzioni intorno a lui. In una estrema periferia americana (un vero deserto di relazioni umane) il piccolo Trevor cercava di cambiare le cose «elargendo» buoni azioni del tutto gratuite a perfetti sconosciuti.
Ma la storia di Abelis si potrebbe accostare anche a un altro bambino dal destino già segnato che deve far i conti con un drago: penso a Open, la straordinaria biografia di Agassi, da mesi meritatamente nelle classifiche dei libri più venduti. Il suo nemico era un “drago” a doppia testa: il padre violento e ossessivo, e la macchina “infernale”, il drago meccanico, che sparava palline da tennis a tutta velocità e contro cui il piccolo Andre doveva cimentarsi tutti i giorni, anche a costo di saltare la scuola…
Tra i momenti più suggestivi del racconto di Leonardi ci sono le conversazioni di Abelis con Blennenort, il suo cavaliere custode. Si svolgono sui tetti del castello, sotto le stelle, e rivelano molti segreti. Questi confessioni si trovano anche in Open. E sotto le stelle c’è un indimenticabile motivational speech del nuovo coach di Agassi: «Andre, non proverò mai a cambiarti, perché non ho mai provato a cambiare nessuno. Se fossi stato capace di cambiare qualcuno avrei cambiato me stesso. Ma so che posso darti la struttura e il progetto per ottenere quello che vuoi. C’è differenza tra un cavallo da tiro e un cavallo da corsa. Non li tratti allo stesso modo.
Si parla tanto di uguaglianza, ma non sono sicuro che uguale voglia dire allo stesso modo. Per quel che mi riguarda, tu sei un cavallo da corsa e ti tratterò sempre di conseguenza. Sarò severo, ma giusto. Ti guiderò senza mai spingerti. Non sono uno che esprime o articola molto bene i suoi sentimenti, ma d’ora in poi sappi questo: Ci siamo, ragazzo. Ci siamo. Sai che ti dico? Tu stai combattendo e puoi contare su di me fino all’ultimo uomo. Da qualche parte, lassù, c’è una stella con sopra il tuo nome. Forse non sarò capace di aiutarti a trovarla, ma le mie spalle sono forti e puoi salirci sopra mentre la cerchi. Hai capito? Per tutto il tempo che vuoi. Sali sulle mie spalle e allunga la mano, ragazzo. Allungala…». La sottotraccia di Abelis continua a ripetere lo stesso insegnamento: «Non rinunciare a vivere, ma vivi».
Sarebbe interessante mettere sotto la lente d’ingrandimento della metafora di Abelis il cuore dei grandi poeti, che, per la loro sensibilità sovraesposta, dovrebbero essere le sentinelle per antonomasia della bellezza e dell’amore. Ci sono carteggi passati alla storia per la profondità della loro ricognizione: quello di John Keats con la dolce Fanny Brawne (il loro drago fu la tisi che uccise lui) è un luminoso esempio tra mille.
Il grande e comunque mai abbastanza studiato Guido Gozzano (1883-1916) compendiava la sua esistenza irrisolta in questi versi splendidi e terribili: «Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state». E tutta la sua incendiata corrispondenza con Amalia Guglielmenetti (Guido Gozzano, Lettere d’amore, esauritissime, per fortuna si trovano facilmente in e-book) potrebbe declinarsi alla voce: «non sono riuscito ad amarti». Era uno sguardo lucidamente profetico dei nostri tempi.
Sul versante opposto, si potrebbe richiamare invece la vicenda di C.S. Lewis (1898-1963), lo scrittore di successo, “imborghesito”, contento di sé, dalla vita costellata di liturgie, che fu “sconvolto” dall’amore incondizionato di Joy Davidman Gresham. Appena dopo la morte della sua sposa, Lewis scrisse Diario di un dolore, quel minuscolo libro in cui ogni frammento ha la portata sapienziale di Giobbe. Una testimonianza inarrivabile (con buona pace di Narnia e Berlicche) di come la parola dolore possa, ancora oggi, rimare con amore. Tra l’altro, è una delle altre scoperte dei cavalieri di Arileva che pur di ritornare uomini saranno pronti a rinunciare alla loro ferrea invulnerabilità.