Per quanto possiamo essere sorpresi del gesto di rinuncia di Benedetto XVI, tentando letture esistenziali, storiche o politiche, non è questo l’approccio giusto per Agostino Borromeo, esperto di storia della Chiesa, già docente nell’Università La Sapienza di Roma e Governatore generale del Gran Magistero dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Certamente il professor Borromeo non darebbe soddisfazione ai giornali che continuano a fare analisi cercando ragioni o peggio retroscena di una decisione che ha stupito il mondo. Quasi non volessimo arrenderci, spiega Borromeo, al fatto di aver a che fare «con un Pontefice che, in piena libertà, ha fatto una scelta prevista dalla normativa vigente».



Professore, cosa avrebbe voluto trovare nei tanti commenti sulla rinuncia di Benedetto XVI che invece non ha visto?
In generale, sono prevalsi lo stupore per l’unicità del gesto o la ricerca del precedente, invece di contestualizzare l’evento nel suo quadro normativo e nella sua attualità; cercando, quindi, di capirlo alla luce delle esplicite parole del Pontefice.



«Riferimento al quadro normativo», lei ha detto. Perché è così importante?
Perché la rinuncia del Papa non è un gesto al di fuori della normativa vigente, ma è espressamente previsto dal Codice di diritto canonico, per la precisione al canone 332, paragrafo 2, dove si ipotizza la rinuncia del Papa a condizione che sia fatta liberamente, che venga debitamente manifestata, e specificando che nessuno ha l’autorità per accettarla o respingerla. Ora, le parole che Benedetto XVI ha usato l’11 febbraio rispettano pienamente la norma in questione. Egli ha usato l’espressione «con piena libertà»; sul dover essere la sua volontà «debitamente manifestata», anche questa condizione è pienamente soddisfatta perché il Papa ha parlato in Concistoro, quindi a voce di fronte ai cardinali e per iscritto nelle sedi opportune.



Dunque un atto pienamente previsto dal diritto canonico. Lei, personalmente, cosa ha visto nel suo gesto?
Un atto di coraggio e al contempo di umiltà. Il Pontefice ha avuto il coraggio di ammettere la sua debolezza, e l’umiltà di chiedere perdono per i suoi difetti. È stato un atto di responsabilità ispirato all’amore per la Chiesa: la diminuzione delle forze dovuta all’età, ha detto, non gli consente più di adempiere bene il ministero petrino. A titolo personale, vi vedo una altissima concezione del suo ministero come servizio.

Ma è possibile rinunciare davvero ad un simile ufficio? Questo sembra paradossalmente un punto che perfino la ragione laica è tentata di usare «contro» Benedetto XVI.
Il fatto è, torno a dire, che il diritto prevede la possibilità che il Papa rinunci. Quando eleggono un Papa, i cardinali elettori sono ispirati dallo Spirito Santo. Allo stesso modo, lo Spirito illumina il Papa quando prende una decisione du questa portata.

Torniamo alla «adeguatezza» rispetto al ministero petrino, che lei ha citato poc’anzi.

Qui non possiamo fare altro che accogliere quello che dice il Papa. Benedetto XVI ha detto che le sue forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero pontificio. È stato, ripeto, un atto di coraggio, di umiltà e di responsabilità sul quale il Pontefice, lo sappiamo, ha lungamente riflettuto. Il che non vuol dire che un’altra scelta, come quella di Giovanni Paolo II, non sia più possibile.

I media, forse più della Chiesa, sembrano inquietarsi per la futura compresenza di due personalità ingombranti. Benedetto XVI però sul punto è stato molto chiaro: «per il mondo rimango nascosto», ha detto nell’udienza di giovedì scorso.
Secondo me un Papa che decide di ritirarsi in convento non è ingombrante. Vuol dire che nessuno saprà cosa pensa a proposito delle decisioni del suo successore, e non credo che il successore si potrebbe sentire in qualche modo vincolato dal fatto che precedente Pontefice, ritiratosi in preghiera, possa avere notizie sulle sue decisioni. Questo problema, e sono abbastanza vecchio per averlo sentito dibattere, non è nuovo ed esplose quando fu messo il limite dei 75 anni ai vescovi. Si è visto poi che le cose si sono andate sistemando naturalmente: alcuni vescovi sono rimasti nelle diocesi, altri se ne sono andati. A Milano il cardinale Colombo si ritirò nel Seminario Maggiore, che è a cinque minuti dal palazzo episcopale dove gli era subentrato l’arcivescovo Martini, poi cardinale.

Sempre incontrando i sacerdoti della sua diocesi, Benedetto XVI ha rievocato la sua esperienza al Concilio Vaticano II. Cosa pensa della lettura che ne ha fatto il Pontefice?
Al di là del contenuto, che non presenta a mio modo di vedere cose nuove, rimane la contrapposizione, che egli ha tenuto a sottilineare, tra il Concilio dei Padri e il Concilio «arrivato al popolo», quello dei media; augurandosi che quest’ultima immagine del Concilio, il «Concilio virtuale», si perda, e che nell’anno della fede si lavori perché il Concilio così come i suoi testi lo manifestano sia realizzato, e che la Chiesa sia realmente rinnovata. Il pensiero del Papa, probabilmente per tutto il pontificato, è stato quello di lavorare e di adoperare le proprie energie per realizzare ciò che il Concilio aveva delineato. Questo è quello che pensa il Papa; per quanto possa valere, lo penso anch’io.

Secondo lei la rinuncia di Benedetto XVI insegna qualcosa alla Chiesa di oggi?

Non si può dire; lo vedremo in futuro. Io vedo il suo gesto anche come un segno di modernità: la presa di coscienza di un mondo in rapida evoluzione, in cui questioni di alta rilevanza si pongono, per fare fronte alle quali bisogna poter disporre della pienezza delle proprie forze.

Per trovare altre rinunce si è dovuti andare un bel po’ indietro nel tempo. Da storico, che ne pensa?
Penso che nel comprendere la decisione di Benedetto XVI i paragoni storici non siano pertinenti: il contesto in cui avvenne la rinuncia di Gregorio XII nel 1415 era completamente diverso. Il Papa allora prese quella decisione per poter rimettere sul giusto cammino la Chiesa, perché c’erano altri due antipapi. Senza la rinuncia di Gregorio XII non si sarebbe potuta avere l’elezione di un unico papa − che fu Martino V − e il riassorbimento dello scisma. Noi invece abbiamo a che fare con un Pontefice che, in piena libertà, ha fatto una scelta prevista dal diritto vigente.

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