Caro direttore,
in un breve commento alla rinuncia del Papa, apparso su Repubblica del 16 febbraio scorso, Giorgio Agamben introduce una riflessione che non ho visto riprendere da nessuno dei commenti che oramai si susseguono al ritmo degli spot televisivi. Dopo aver ricordato la distinzione fra legalità e legittimazione che sembra ormai sepolta nei ricordi dei giuristi del 900, Agamben afferma che in ogni caso la scelta di Benedetto XVI va letta anche in rapporto alla profonda crisi di legittimazione della Chiesa istituita e di tutte le istituzioni di governo dell’intero Occidente e forse del pianeta.
Mentre legalità significa osservanza formale della lettera della legge che si autogiustifica senza alcun riferimento ai valori, la legittimità evoca una corrispondenza spirituale che sta alla base del rapporto fra chi emette un comando e il consenso sostanziale di chi è chiamato a obbedire. La legittimazione evoca la continuità spirituale fra chi detiene il potere di porre norme e chi è chiamato a osservarle. La legalità, invece, si realizza soltanto sul piano estrinseco formale della coerenza fra la forma di legge e il suo contenuto imperativo. Perciò il giustizialismo è sempre una fuga dal problema della legittimazione e finisce con l’avvalorare anche le svolte autoritarie che si sono realizzate sotto lo schermo della pura continuità formale. La legge scritta e applicata letteralmente può condurre, come è stato scritto da Calamandrei, a una autonegazione della stessa legalità, come è accaduto durante il fascismo e il nazismo. La legittimazione mette in discussione invece la forma della legge ed esprime la condivisione anche affettiva del rapporto fra chi esercita la funzione legislativa e chi ne è destinatario, il quale è chiamato alla collaborazione sostanziale.
Quando di questo tema Papa Ratzinger discusse con Habermas, sullo sfondo c’era l’affermazione di Wolfgang Böckenförde secondo cui “lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che esso non può garantire”. Proprio per la storia di papa Ratzinger, per la sua cultura filosofica e teologica non si possono non leggere molti suoi interventi fino alla rinuncia se non si interpreta il senso di questa crisi di legittimazione a cui allude Giorgio Agamben e che il Papa ha lucidamente avvertito sin dall’inizio del suo pontificato. Noi infatti stiamo vivendo in un’epoca in cui non sussiste più alcun principio di legittimazione di chi è chiamato ad esercitare un potere.
Proprio in questi giorni mi è accaduto di leggere il manoscritto di un volume di Claudio Risé in cui si analizza il deperimento o, per dirla con Lacan, l’evaporazione di ogni figura paterna e delle conseguenze di anomia e distacco dalla realtà che essa determina nelle nuove generazioni. Tanto più se si considera che questa negazione del Padre si accompagna ad un processo di negazione anche della figura materna intesa ancora come manifestazione di sudditanza al potere maschile. In alcuni manifesti delle femministe più radicali si arriva a proporre la sterilizzazione delle donne come atto emancipativo e liberatorio. Ciò che una riflessione di questo tipo mette in evidenza è che le funzioni biologiche legate alla procreazione e alla crescita dei figli non rimandano più a quel tipo di legittimazione storico-culturale che nella visione di Jung è rappresentata dal cosiddetto “padre archetipo” come colui che dà inizio alla vicenda umana e che si prende cura amorosa dei propri figli. Scomparsa questa connessione profonda tra padre amoroso e funzione biologica della procreazione è rimasta, come ha sottolineato Recalcati, soltanto la testimonianza occasionale vissuta in una intimità neppure rappresentabile.
L’eredità del padre nel mondo contemporaneo, come si legge in alcuni romanzi americani, non è il ricordo dei suoi ideali e delle sue lotte ma la semplice presenza degli strumenti da barba che appartenevano anche al nonno. La catena vivente è diventata la pura presenza di oggetti inanimati. La legittimazione è essenzialmente la forza effettiva del legame amorevole che unisce un gruppo di uomini anche nelle sue forme molecolari come nella famiglia.
Al di là delle spiegazioni, che non si possono dare in un breve articolo, tutti possono constatare che la drammatica crisi della famiglia riguarda sia le madri che i padri e che proprio a partire da questo si sta verificando un fenomeno di dissociazione fra lo sviluppo mentale dei giovani e la spinta pulsionale disorganizzata che li fa agire senza alcuna consapevolezza. L’attacco alla famiglia, alla coppia, e ai ruoli paterni e materni è in realtà l’attacco più duro che una forma di cultura, più libertina che liberale, ha diffuso nelle masse delle nuove generazioni. La crisi ha finito così con l’intaccare ogni legittimazione anche delle istituzioni laiche, basta considerare come anche la vecchia democrazia parlamentare sia stata sostituita da apparati burocratici e tecnocratici, come quelli dell’Europa e del mondo intero, che gestiscono soltanto flussi finanziari.
A fronte di questo apparato tecnico-burocratico si sono progressivamente determinati movimenti che tendono a contestare direttamente l’Unione Europea e i governi degli Stati Nazionali che vengono vissuti come un vero impoverimento di ogni forma di sovranità popolare. Quando vengono fatte le inchieste per vedere di quanta fiducia godono le istituzioni del nostro Paese, siamo costretti a costatare che né il capo del governo, né la magistratura, né le istituzioni universitarie godono oggi della fiducia convinta e della adesione affettiva dei cittadini. La corruzione così drammaticamente diffusa nel nostro Paese mostra come si sia perduto ogni senso etico e civico dell’esercizio dei vari poteri dello Stato. La corruzione denuncia la drammatica profondità di questa crisi di legittimazione accresciuta dalla finzione massmediatica dei dibattiti che vengono gestiti dalle varie televisioni. La differenza tra uno spot pubblicitario e un’argomentazione sviluppata attraverso un discorso segna il confine tra il dominio della menzogna e la ricerca della verità.
Il problema della crisi di legittimazione, e cioè del formarsi di uno spirito collettivo capace di fronteggiare le spinte istintuali a soddisfare qualsiasi genere di bisogno, è quello di una totale assenza di fondamento di ogni regola destinata a organizzare la convivenza sociale e la vita individuale. Non esiste infatti alcuna vera elaborazione dei nuovi problemi etico-politici che lo sviluppo inaudito delle scienze, che consentono di manipolare anche l’anima delle persone, ha posto urgentemente sul tappeto. Chi condivide, come sembra potersi dedurre dalla predicazione e dal pensiero di Benedetto XVI, la visione di un’emergenza antropologica che rischia di delegittimare la stessa persona umana svuotandola di ogni libertà e responsabilità, non può non vivere tragicamente non solo il tramonto dell’Occidente ma il tramonto dell’immagine dell’uomo attraverso la quale ci siamo formati e cresciuti.
L’emergenza antropologica si risolve infatti nella soppressione di ogni forma di spiritualità che liberamente ricerchi il senso della vita attraverso l’espressione del pensiero e dell’arte. Il mondo è bloccato in un’enorme tautologia senza senso e anche l’idea del progresso, che ha ispirato tanti movimenti del Novecento, appare insensata di fronte alla miseria e alla disperazione di tantissime aree del pianeta. La desertificazione dell’anima ha provocato l’impossibilità di costruire ideali che possano essere interiorizzati dalle nuove generazioni come guide pratiche per il loro agire nel mondo.
La rinuncia del Papa denuncia questa progressiva desacralizzazione di ogni principio normativo e in particolare lo scollamento tra la struttura delle gerarchie ecclesiastiche e dei loro apparati normativo-rituali e il popolo di Dio che è caduto in uno stato di servitù e asservimento come quello degli ebrei sotto il dominio egiziano. La rinuncia del Papa è la chiusura di un’intera fase storica della Chiesa prevalentemente caratterizzata dal trono e dalle insegne del potere senza la legittimazione di una vera comunione spirituale e di un’amorevole comprensione reciproca. Sotto questo profilo la rinuncia del Papa non può essere letta laicamente come le dimissioni di un importante presidente di associazione che recepisce i principi democratici della temporalità del potere. Una siffatta interpretazione avrebbe come conseguenza inevitabile la stessa distruzione della Chiesa che non avrebbe più alcuna funzione di mediazione tra l’umano e il divino. Una Chiesa senza spiritualità o con una spiritualità superficiale ed esteriore, dopo questa rinuncia, sarebbe in preda a tutte le spinte distruttive fino alla scomparsa di ogni vero sentimento religioso. La rinuncia del Papa va letta all’interno delle dinamiche stesse che dal Vecchio Testamento ci hanno accompagnato fino ad oggi come un enorme “segno dei tempi” che invita tutti a una nuova fondazione della spiritualità della vita.
Il Papa compie un gesto inaudito di annullamento dell’Io e di ogni sua pretesa di onnipotenza e chiama in causa direttamente lo Spirito Santo in un colloquio personale della sua coscienza con la testimonianza e il messaggio di Gesù Cristo a cui il Papa stesso ha dedicato il meglio della sua sapienza. Come il Cristo sulla Croce invoca il Padre che lo ha abbandonato a tornare a prendersi cura di lui per affrontare la croce e i dolori fisici che prova sulle proprie carni, così il Papa, dopo aver vissuto un’esperienza drammatica di abbandono e solitudine, sembra rivolgersi direttamente al Padre e al Figlio perché solo in un rinnovato rapporto con essi è possibile una rifondazione della presenza del sacro nella vita quotidiana.
La stessa ricorrente affermazione della “stanchezza” del Papa e della sua perdita di forze non è spiegabile soltanto come un fatto del corpo e dell’anima, ma come un segno della necessità di oltrepassare la soglia alla quale è giunta la storia cominciata duemila anni fa. Anche l’eventuale malattia del corpo per un uomo di fede come Ratzinger non può essere dissociata dall’elaborazione consapevole del significato anche simbolico di ogni fatto anche fisico, va vista invece come un dono dello Spirito Santo che stimola un gesto di discontinuità innovativa per dare la possibilità agli uomini di rendersi conto della gravità dell’ora.
Capisco che sto proponendo un’ennesima interpretazione, ma mi sembra necessario spostare il terreno di ogni riflessione da quello che sembra delinearsi in questi giorni: dall’indecente lotteria sull’identikit del nuovo papa alla convocazione del cardiochirurgo che lo ha operato di recente in un dibattito che propone il tema delle possibili spiegazioni biologiche del gesto del Papa. Così come mi sembra abissale la distanza fra il significato che questo gesto dovrebbe porre a tutti e l’insistenza mediocre del dibattito politico sul cortile di casa nostra.
Nessuna connessione simbolica tra la rinuncia del Papa e la crisi di un’intera umanità che rischia di trovarsi fra pochi anni totalmente asservita al potere inaudito della tecnica che, come continua a ripetere Emanuele Severino, può rendere insignificanti tutti gli scopi e le idealità degli esseri umani. Oggi scrive Boncinelli: “l’ultimo sforzo che la scienza si prefigge è di potenziare il cervello umano sano con circuiti elettronici e chip al silicio per farne una supermacchina”. A quanto pare esiste un progetto americano per poter mappare la mente di tutti gli uomini e conquistare così anche il cervello.