A 88 anni dalla sua nascita, Google dedica il suo doodle ad Edward Gorey. I gatti, le creature grottesche, i personaggi cupi, sono appollaiati tra le lettere di google, e danno subito un’idea abbastanza precisa di quello che è stato (e tutt’oggi resta) il mondo di questo artista. Americano di nascita, con pochi studi artistici alle spalle, ha pubblicato più di 100 libri di illustrazioni,molto apprezzati dai bambini, verso i quali lo stesso illustratore dichiarava di non avere un particolare interesse. Personaggio eccentrico e schivo si isolava spesso dagli amici e morì il 15 aprile del 2000. Guido Clericetti, vignettista politico e di costume, ha lavorato per numerose testate italiane, da Epoca, a Famiglia Cristiana, a L’avvenire, e ha collaborato come autore televisivo con Rai e Mediaset. Come lui stesso racconta il disegno resta la sua arte d’elezione. Gli abbiamo chiesto un commento sull’opera dell’artista di Chicago e indagato un po’ sull’affascinante lavoro di questo illustre disegnatore.
Clericetti, come fumettista, ha avuto modo di apprezzare questo autore, anche se ha sicuramente uno stile molto diverso dal suo? Si, io ho un interesse molto ampio che comprende tutto il fantasy, i gialli… Mi viene in mente Chesterton, che diceva che i libri gialli sono una lettura fondamentale, che deriva dal romanzo gotico. C’è tutta una cultura che si chiama “popolare”, ma che stimola anche autori di grande peso, grandi personaggi. Io ho dei libri illustrati in questo stile molto raffinato ed elegante, quasi da incisione, che apprezzo graficamente ma anche dal punto dell’inventiva un po’ folle.
Qual’è stato il suo approccio al disegno? Le prime esperienze che le hanno fatto capire che voleva farne un lavoro? C’è stato un fatto che penso sia importante. Per un anno e mezzo, da bambino, non sono stato con la mia famiglia a Milano, ma con mia nonna che abitava a Varese, era l’immediato dopo guerra e c’erano problemi con le case. In quel periodo ho passato molto tempo solo, facendo disegni. Avevo il diario Vip di Iacovitti, che mi ha accompagnato per gli anni della scuola, che era uno stimolo quotidiano a disegnare. Ho cominciato a rifare i disegni di Iacovitti e un mio compagno, che dirigeva un piccolo giornale, mi ha chiesto di partecipare con una mia pagina umoristica. Io ho cominciato con dei disegni generici, poi mi è stato fatto osservare che non avevo un mio stile, così ho iniziato a cercarlo… A questo punto ero già all’università, e sui miei libri di diritto privato ci sono i primi omini con gli occhi a croce che schizzavo durante le lezioni.
Ad un giovane che desidera intraprendere la sua stessa carriera, diventare disegnatore, illustratore o fumettista, quali consigli potrebbe dare? Pensa che la formazione accademica sia necessaria o è meglio sfruttare il proprio talento e aspirare magari ad un apprendistato di qualità? Io sono considerato un disegnatore a tutti gli effetti ma mi vedo più come un dilettante, perchè non ho una preparazione specifica. Mi rendo conto che mi manca molto la tecnica che mi sarebbe d’aiuto in certi momenti, invece ho sempre dovuto andare per tentativi… Ricordo che da giovane andai alla biblioteca Sormani di Milano per una mostra di Mussino, il primo illustratore di Pinocchio, e notai che usava la tempera bianca per correggere gli errori, e cominciai a farlo anche io. Oppure una mia amica disegnatrice mi spiegò casualmente che quando si dipinge ad acquarello si può ritoccare con la candeggina, che cancella il colore.
Quindi una buona scuola? Si, la la tecnica è fondamentale, ma sono anche convinto che l’aspetto del contenuto derivi da una cultura, un’educazione molto più vasta. Un’educazione di contenuti, se no si ha solo l’abilità tecnica ma nulla da metterci dentro.
Lei è disegnatore ma stato anche autore televisivo e radiofonico. Qual’è il suo sentimento rispetto a queste due forme espressive, la parola e il disegno, così diverse ma spesso complementari?
Diciamo che l’aspetto del disegno è quello che amo di più, ma che rende meno in termini economici. Come dicevano i romani: carmina non dant panem. Ossia la poesia non da da mangiare, quindi bisogna fare anche altri lavori e per fortuna mi sono scoperto capace di scrivere. Quello che mi da da vivere è la scrittura. Ma il disegno è ciò che amo perchè quando disegno entro nel mondo che sto rappresentando. Un aspetto che mi appassiona anche nella lettura.
Ci sono stati disegnatori che le sono serviti per contenuto o per stile come fonte di ispirazione? Dal punto di vista dello stile no, non credo di avere dei crediti dal punto di vista grafico. Invece per quanto riguarda i contenuti, dicevo, io devo molto a Iacovitti, a Rovello, grande disegnatore e pittore della prima metà del ‘900, e poi Mosca, Guareschi, tutti quelli del Candido, che mio padre comprava e dove scrivevano anche Manzoni, Mondaini, Steinberg, una scuola non indifferente per me che ero un autodidatta. Invece in televisione ho avuto la fortuna di incontrare Marcello Marchesi, che mi ha fatto da maestro non solo nella tecnica ma anche umanamente.
(Nicoletta Fusè)