Alla quasi vigilia di queste elezioni, una delle espressioni più gettonate tra gli elettori cattolici (e non) è quella riferita ai cosiddetti valori non negoziabili. Marku Krienke, docente di teologia nell’Università di Lugano, mette in guardia da una visione asimmetrica del riferimento ai valori: «non solo il centrosinistra, ma ormai anche il centrodestra rispecchia l’accelerata secolarizzazione della società e ne è diventato addirittura anche un motore». Un equivoco in cui è facile cadere, dopo l’estinzione del partito cattolico, del partito cioè che si è fatto per 40 anni garante della rappresentanza e della difesa a livello politico di quei valori. Con risultati dubbi, a quanto pare, e basti ricordare i referendum sul divorzio prima e sull’aborto poi. La vera questione, dunque, non è quale sia la casa politica di quei valori, ma la crisi della coscienza cristiana, e, con essa, la sfida della libertà.
Quelli che si sentono smarriti in queste elezioni sono soprattutto i cattolici. Vent’anni dopo la fine della Dc, la situazione sembra davvero radicalmente cambiata.
I cattolici, infatti, si trovano oggi in una fase di transito segnata da una profonda crisi della coscienza cristiana in politica. Non solo il centrosinistra, ma ormai anche il centrodestra rispecchia l’accelerata secolarizzazione della società e ne è diventato addirittura anche un motore. La secolarizzazione si esprime soprattutto nella dimenticanza del valore spirituale del singolo che è un valore morale e religioso e non semplicemente istanza di scelte arbitrarie in una società di consumo. Più che questo paradigma invade la logica dei partiti, meno si più ancora trovare un partito con il quale un cattolico si potrebbe classicamente «identificare».
Che cosa significa in questo contesto la «coscienza cristiana in politica»?
La coscienza cristiana in politica era identificata per lunghi secoli con il controllo morale ed istituzionale della Chiesa sulla politica. Ma da quando nel XX secolo tale paradigma è definitivamente crollato, essa si esprime nelle convinzioni profonde che animano i grandi politici liberali dopo la guerra come De Gasperi ed Einaudi in Italia oppure Adenauer ed Erhard in Germania. Con questi personaggi, i valori cristiani in politica divennero liberali. Questo era il presupposto affinché loro, con il francese Schuman, potevano fondare ciò che oggi è l’Unione Europea: non sulla Chiesa o sui dieci comandamenti ma sui valori della libertà, della democrazia e del libero mercato che secondo la loro convinzione risultano dall’immagine cristiana dell’uomo. In questo modo loro avevano già tradotto gli ideali umanistici del cristianesimo in principi politicamente realizzabili. Ciò consentiva a loro nella politica di seguire un sano pragmatismo. Allo stesso momento, però, erano anche coscienti del fatto che libertà e pragmatismo si possono realizzare soltanto sulla base del rispetto morale e religioso della persona e della famiglia.
Il cristianesimo quindi ha prodotto il liberalismo?
Infatti, la Dc come la Cdu interpretavano dopo la guerra la coscienza cristiana in politica come anti-statalistica ed anti-centralistica. In questo modo mettevano fine ad un rapporto istituzionale tra Chiesa e politica che soprattutto nel fascismo è diventato più che dubbio. Il loro valore politico centrale, ossia l’immagine cristiana dell’uomo che tradotta in linguaggio politico significa la «dignità umana», per loro era la chiffre che la politica deve innanzitutto rispettare il valore della persona umana e la sua responsabilità individuale. Così, si costituiva una nuova destra, cattolico-liberale, contro una sinistra che tradizionalmente colloca l’uomo all’interno dello Stato e si fida meno della forza morale della libertà individuale.
Nel centrodestra cristiano si esprimeva quindi originalmente un modello alternativo?
Rispetto all’esperienza politica precedente certamente sì, ma bisogna anche aggiungere che i partiti del centrodestra cristiano non sono sempre rimasti fedeli al loro ideale, in maniera tale che anch’essi sono finiti nel travaglio dello statalismo, dell’antiliberalismo, e della perdita dei valori cristiani fondamentali. Così si sono strutturalmente avvicinati alla sinistra che da sempre seguiva una politica secolarizzata. Questa è la dimensione più eclatante della perdita della coscienza cristiana in politica e ciò ha portato non solo al crollo della Dc in Italia e alla crisi del cosiddetto «C» (cioè del qualificativo cristiano) nella Cdu tedesca.
In ogni caso, però, la Chiesa come istituzione cerca ancora di realizzare un suo influsso sulla politica.
Innanzitutto, in una società libera la Chiesa non ha soltanto il diritto di esprimersi, ma può averne anche il dovere, soprattutto se si tratta dei valori fondamentali. Ma ormai per la Chiesa è definitivamente tramontata l’epoca di «alleanza» con un partito, uguale se di destra o di sinistra, perché ormai entrambi sono diventati motori potenti della secolarizzazione della società. Papa Benedetto XVI ha capito bene in quale modo bisognerebbe cambiare: la Chiesa parla alle coscienze, ma non in modo «paternalistico» ossia come «mater et magistra», come spesso essa viene fraintesa. Evidentemente, nella coscienza si lascia alla responsabilità morale della persona l’ultima decisione sull’adesione ai valori cristiani. Ciò significa, quindi, anche l’accettazione della laicità e del pluralismo della democrazia, e quindi anche del pluralismo religioso, da parte della Chiesa: il suo posto essa non lo trova in un partito all’interno di questa laicità e pluralità, ma si colloca ormai trasversalmente, attraverso la coscienza dei cristiani in qualsiasi partito essi si trovino. In tale modo la Chiesa mantiene anche la giusta distanza ai partiti in generale, e può esprimere quindi una valida istanza alternativa al processo di secolarizzazione.
Ma in questo modo, la Chiesa non rischia di allontanarsi dalla politica, e di non cercare più il dialogo con essa? Quale potrebbe essere in questa prospettiva la posizione dei cristiani in politica nel futuro?
Infatti, proprio questo rischio, che è anche una delle critiche più spesso articolate nei confronti del pontificato di Ratzinger che sta per concludersi, non appare lontano nel momento in cui non avviene più l’identificazione con un partito preciso. Ma il rischio può concretizzarsi soltanto se si dimentica completamente qual è il valore centrale della coscienza cristiana in politica: l’idea di uguaglianza di tutti gli uomini e l’importanza irriducibile del singolo contro l’assolutizzazione del potere politico, e quindi i fondamenti del liberalismo. Per questo, la Chiesa deve dialogare con la politica per rivendicare il necessario contesto etico-religioso di questi valori, che oggi senz’altro sono da declinare in un ambiente eticamente e religiosamente plurale.
La Chiesa quindi come l’istanza «liberale» nella società?
Credo fortemente di sì, e che debba esercitare questa sua importanza attraverso un dialogo cosciente dell’ambiente pluralistico e della base democratica della società. La delusione nei confronti dei partiti è innanzitutto quella che essi non siano riusciti a vincere il loro «rischio naturale» di tendere verso il potere politico e lo statalismo. Questo è senz’altro un effetto della secolarizzazione e della perdita dei valori cristiani in politica. Ciò che Del Noce ha giustamente analizzato per il socialismo e i partiti che si rifanno alle sue idee vale quindi ormai anche per una destra che ha dimenticato la lezione di Sturzo e di De Gasperi. La Chiesa, in questa situazione, può solo assumersi la posizione di contrasto nei confronti del piano politico in quanto tale, favorendo i momenti e le chances di libertà – che significa: il rispetto per la persona e per la vita, il valore della famiglia e dell’educazione, e la responsabilità morale nella propria coscienza – ove essi si trovino. La libertà quindi non è l’arbitrarietà o il qualunquismo attuale, ma la valorizzazione della persona umana nel suo «sacrario» che è la coscienza.