Lo scorso 15 febbraio, a soli quattro giorni dallo storico annuncio con il quale Papa Benedetto XVI ha dichiarato di rinunciare al ministero petrino, i vescovi della Conferenza Episcopale Lombarda guidata dal Card. Angelo Scola – subito dopo aver salutato il pontefice “uscente” nell’ultima visita ad limina apostolorum – hanno compiuto un gesto particolarmente significativo, approvando l’avvio dell’iter canonico per l’introduzione della causa di beatificazione di sei nuove figure della Chiesa lombarda. Tra costoro vi è anche don Primo Mazzolari, sacerdote cremonese noto soprattutto per la sua attività antifascista nelle forze partigiane e, in seguito, per quella di autore cattolico.
Di Mazzolari molto si è detto e scritto circa la sua testimonianza civile, avendolo una parte della cultura cattolica assurto quasi a emblema di quella parte del clero nazionale che – anche con una certa autonomia dalle gerarchie – tra il ’43 e il ’45 affiancò durante la guerra civile nel Nord d’Italia tutti coloro che si vollero opporre alla presenza nazifascista, e alla fine vi prevalsero. Fu indubbiamente egli un antifascista “della prima ora”, o forse per meglio dire un prete dallo spirito democratico avverso a ogni forma di totalitarismo (e che peraltro si era schierato con gli interventisti nel 1915 per debellare definitivamente il militarismo tedesco); un sacerdote che, ancora agli albori del regime, nel 1925 si era rifiutato di recitare il solenne Te Deum per lo scampato attentato al Duce, e che nel 1929 fu tra i pochi nel clero italiano a non rispondere all’appello dell’episcopato e dell’Azione Cattolica a partecipare alle elezioni politiche seguenti i Patti Lateranensi, temendo che tale gesto avrebbe costituito una sorta di legittimazione del regime: probabile esito di queste reiterate attestazioni di non-allineamento, furono le tre pallottole che fortunosamente lo lasciarono illeso, ricevute nella notte del 1° agosto 1931 dalla finestra della sua abitazione a Cicognara, dove da ormai un decennio serviva come parroco.
Ma colui che in seguito fu noto come il “parroco di Bozzolo” ebbe modo di distinguersi soprattutto nel dopoguerra, innanzitutto fondando il quindicinale «Adesso» nel 1949, proprio mentre la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi stava vivendo nel paese la sua stagione di massimo fulgore: obbiettivo ivi dichiarato, quello di “svegliare” le coscienze dei cattolici impegnati nella vita pubblica affinché incarnassero in maniera totalizzante il messaggio evangelico nelle proprie scelte civili e politiche. Un esperimento editoriale e culturale che non piacque al cardinal Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano il quale, forse anche sull’onda delle reazioni alla celebrazione del convegno organizzato a Modena il 7 gennaio del 1951 dal “Movimento delle avanguardie cristiane”, lo sconfessò inibendone ogni possibile collaborazione agli ecclesiastici, e negando a don Primo la possibilità di predicare al di fuori dei confini della diocesi.
«Adesso» avrebbe poi ripreso le pubblicazioni nel novembre successivo, con editoriali dello stesso Mazzolari sotto pseudonimo, fatto che però non passò inosservato alle attenzioni del Sant’Uffizio, il quale nel 1954 avrebbe addirittura vietato al prete lombardo di predicare al di fuori della propria parrocchia, in particolare intimando all’ordinario locale – come si ricorda in una collettanea di studi a lui dedicata da Arturo Chiodi del 2003 – di impedirgli «di scrivere e dare interviste su materie sociali».
Il sacerdote cremonese non fu comunque mai domo nel suo impeto predicatorio e, nonostante l’ammorbidimento del personale “embargo” ecclesiastico (conseguente alla concessione di poter riprendere la predicazione in diocesi), avrebbe dichiarato nel successivo 1956 che «cattolico e destra non sono più sinonimo», dopo aver diffuso in via anonima ma riconoscibile un pamphlet dal titolo emblematico: Tu non uccidere, poi fatto ritirare dallo stesso supremo dicastero vaticano. È questo il manifesto del pacifismo di Mazzolari – come bene illustrato in una recente collettanea curata da Paolo Trionfini –, piena testimonianza della sua concezione “attivistica” del cristianesimo (lo aveva introdotto sottolineando che «…non basta essere i custodi del verbo di pace, e neanche uomini di pace nel nostro intimo, se lasciamo che altri − a loro modo e fosse pure solo a parole − ne siano i soli testimoni»). Allora forse non fu capita l’intenzione, e il volume sarebbe stato ripubblicato postumo solo nel 1967.
Gli ultimi anni dovettero finalmente risultare di conforto per il parroco lombardo circa la retta considerazione delle sue intenzioni nelle battaglie sociali intraprese, in particolare quando trovò ascolto presso il nuovo arcivescovo di Milano, il cardinale Giovanni Battista Montini, che lo invitò nel novembre del 1957 per predicare alla “Missione di Milano”; a lui avrebbe confidato due anni dopo: «mi fu tolta la parola e la penna per un “filocomunismo” che nessuno ha mai potuto provare, perché smentito dai fatti» – e spesso Mazzolari dovette lamentarsi che le posizioni che gli venivano attribuite non rispecchiavano il suo vero e profondo pensiero. Si può qui intravedere un destino singolarmente comune per i due uomini di Chiesa lombardi: anche al futuro Paolo VI sarebbe in seguito stata attribuita un’attitudine “progressista” nel suo esercizio pastorale (pure senza aver riscontrato le reprimenda di cui venne fatto oggetto don Primo), oggi peraltro messa in discussione da diversi studi: basti qui ricordare la condanna dell’arcivescovo di origini bresciane delle tendenze filosocialiste delle Acli milanesi, espressa senza mezzi termini in una sua accorata e severa lettera rivolta ai dirigenti del movimento, il 15 maggio del 1960.
L’anno precedente al pronunciamento di Montini, l’ultimo per lui di vita terrena, il parroco di Bozzolo avrebbe ottenuto un’ulteriore preziosa consolazione rispetto al suo impegno pastorale: il 5 febbraio fu ricevuto dal nuovo pontefice, Giovanni XXIII, che lo definì senza mezzi termini: «tromba dello Spirito Santo in terra mantovana»; il bergamasco Roncalli – un altro grande uomo di Chiesa la cui testimonianza dopo la morte ha subito anche forzature interpretative in senso “politico” circa il suo presunto “progressismo” – avrebbe voluto incontrarlo ancora, con udienza fissata per il 18 aprile successivo, ma don Primo non vi poté arrivare, morendo il 12 dello stesso mese, presso la casa di cura S. Camillo di Cremona.
Benché di Mazzolari si sia in passato soprattutto enfatizzato un emergente senso critico nei confronti delle scelte politiche della gerarchia – si pensi a chi insiste nel presumerne un tacito (?) dissenso rispetto alle condanne antimoderniste, per quanto da lui fosse stata riaffermata, a un tempo, la convinta scelta di obbedienza all’autorità anche su queste materie – il quadro finale della sua biografia non pare assimilabile tout court a quello di alcuni prevedibili “dissenzienti”. È pur vero che negli scritti – e implicitamente in diverse occasioni di vita – il parroco di Bozzolo sembra soprattutto concentrarsi sul primato della coscienza, la responsabilità individuale del cristiano rispetto ai dettami del Vangelo, palesando persino una prospettiva che si potrebbe definire “bonomelliana” nell’enfasi dei rapporti tra religione e patria; ciò non toglie che egli fu e rimase sempre devoto e pure innamorato della Chiesa cattolica alla quale aveva scelto di appartenere in misura del tutto esclusiva.
Solo invece nell’ottica della sua profonda devozione al messaggio di Cristo è possibile comprendere appieno la vera “rivoluzionarietà” di Mazzolari; anche nel suo caso, le stereotipe appiccicature ideologiche in cui è stato costretto da certe letture non rendono merito all’uomo, al credente e al prete. Egli ne fu ben consapevole, quando scriveva: «Se alcuno mi chiedesse: “Sei tu un democratico? Sei tu un socialista? Sei tu un comunista?”, la mia risposta ripeterebbe, mutando solo i nomi, quella di S. Paolo: “Siete voi ebrei? Io di più. Siete voi israeliti? Io di più. Siete voi progenie di Abramo? Io di più. Siete voi ministri di Cristo? Io parlo da pazzo: io lo sono più di voi”». Dicendo così che la Chiesa non è un parlamento, i suoi attori non sono politici, rispetto alle normali differenze di pensiero in essa presenti vi è il “di più” della fede.
Piuttosto per il suo approccio evangelico, coerente sino al sacrificio personale, ed alle sue indubbie intuizioni pastorali relative alla libertà religiosa, al dialogo con gli “erranti”, alla sottolineatura della povertà della Chiesa, è apprezzabile la testimonianza di Mazzolari, e per certi versi la si può considerare anticipatrice delle scelte conciliari. È un profilo che, in ultima analisi, giustifica la decisione dell’episcopato lombardo di volerlo indicare oggi ai fedeli come un modello – questo è, infatti, il primario significato dell’apertura di una causa di beatificazione – nella delicata fase che la Chiesa universale sta attraversando, bisognosa come non mai di testimonianze di fede autentiche e appassionate, come quella di don Primo.