Al centro di Tutto scorre (1955-1963), l’ultima opera di Vasilij Grossman rimasta a lungo inedita, è la vicenda di Ivan Grigor’evic, ex zek che nel 1954 torna in libertà dopo trent’anni di lager. Con lui ritorna alla vita del tempo di pace anche l’intera Unione sovietica, dopo la fine del conflitto e la morte di Stalin. Mettendo a confronto il mondo del Gulag e il cosiddetto mondo “libero”, Grossman ne rivela l’identità: «La gente del lager aiutava ora Ivan Grigor’evic a capire gli uomini in libertà. Egli vedeva, in libertà, la stessa miserevole debolezza e crudeltà, l’avidità e la paura, esattamente come nelle baracche del lager. La gente era fatta tutta allo stesso modo, e lui ne aveva compassione».
Il ritorno di Ivan Grigor’evic, inatteso fantasma del passato, costringe tutti i personaggi che lo incontrano a fare i conti con la propria storia, e con la Storia. Vediamo riflettere a lungo sulle proprie colpe il cugino del protagonista, Nikolaj Andreevic, accademico di scarso talento che ha fatto carriera grazie ai propri silenzi complici e alle sventure altrui. Ma il risveglio di una coscienza a lungo sopita si rivela per lui troppo doloroso, «insopportabile dover prendere sulla propria coscienza quella pluriennale, abbietta sottomissione». E quando infine Nikolaj Andreevic si trova davanti al cugino, lo sente «estraneo, cattivo, ostile»: «non di pentirsi aveva voglia, ma di affermare se stesso».
Non arriva a riconoscersi colpevole neppure Vitalij Antonovic Pinegin, apparatcik di successo nella nuova Urss degli anni Cinquanta. Era stato lui, in gioventù, a denunciare il protagonista, suo compagno d’università, provocandone l’arresto. A distanza di trent’anni, incontrato casualmente Ivan, Pinegin appare sulle prime turbato da un sentimento sconosciuto, quasi un rimorso: «Insomma, è un fatto, io, proprio io ho denunciato Vanecka, mentre potevo anche farne a meno, e ho spezzato la spina dorsale a un uomo, che il diavolo se lo prenda! … ohi, ohi, che guaio, meglio scomparire dal mondo dopo un simile schifo». Per brevissimo tempo lo tormenta un’incertezza del tutto nuova: «il convincimento che la sua era stata una vita giusta contendeva con il turbamento e l’orrore, quell’orrore sorto in lui improvviso, tra le fiamme e il gelo del pentimento». Ma la certezza di essere comunque nel giusto prevarrarà, e Pinegin metterà in qualche modo a tacere il molesto risveglio della propria coscienza.
Non riconoscono la propria colpevolezza neppure i quattro “Giuda” senza nome che Grossman descrive poco oltre, quattro informatori e delatori che con le loro false accuse avevano contribuito all’arresto di uomini innocenti – pratica particolarmente diffusa nell’età staliniana.
Nel corso del processo che Grossman inscena nel settimo capitolo (e che non venne mai celebrato in nessun tribunale dell’Unione Sovietica) essi infatti sostengono: «Ricordate Tolstoj: non ci sono colpevoli a questo mondo! Nel nostro Stato invece esiste una nuova formula: tutti al mondo sono colpevoli, non vi è al mondo un solo innocente… Vi si confà, compagno procuratore, di accusarci? Solo i morti, quelli che non sono sopravvissuti, hanno diritto di giudicarci. Ma i morti non fanno domande, i morti tacciono».
E il processo si conclude senza sentenze, con la mesta constatazione del Difensore: «Sì, sì, essi non sono colpevoli, li spingevano cupe, plumbee forze. Li opprimevano pesi di milioni di tonnellate, non ci sono innocenti tra i vivi… tutti colpevoli: tu, imputato, e tu, procuratore, e io, che penso all’imputato, al procuratore e al giudice. Ma perché proviamo tanto dolore, tanta vergogna per la nostra umana oscenità?».
Un solo personaggio, in Tutto scorre, riesce a guardare al passato riconoscendo le proprie colpe e pentendosene. È una donna, Anna Sergeevna, una povera cuoca magra e malata. Di lei – bellissima perché buona – si innamora Ivan Grigor’evič.
A differenza del cugino Andrej Nikolaevič e del delatore Pinegin, Anna, un tempo presidente di un kolchoz, non teme di mettere a nudo di fronte a Ivan il proprio passato: «ero bella, e tuttavia ero cattiva. Avevo ventidue anni. Tu non mi avresti amata, allora, anche se ero bella. … Io ti guardo, non prendertela, come fossi Cristo. Ho sempre voglia di pentirmi dinnanzi a te dei miei peccati, come dinnanzi a Dio. Mio bene, mio amato, voglio raccontarti, voglio ricordare tutto ciò che è stato».
In gioventù Anna aveva seguito con convinzione la brutale politica condotta nelle campagne sovietiche, assistendo dapprima impassibile, quindi comprendendone l’orrore, alla dekulakizzazione e alla Grande carestia che sconvolse l’Ucraina nel 1932-33.
Così, al cuore di Tutto scorre, nel capitolo che costituisce uno dei vertici dell’arte di Grossman, la confessione notturna di Anna davanti a Ivan, dopo la loro prima notte d’amore, si intreccia con la ricostruzione di uno dei più tragici avvenimenti della storia russa, cui nessuno aveva dato voce prima di Grossman, né avrebbe dato a lungo in seguito. Egli ne affida il racconto, grandioso e tremendo, non a un narratore impartecipe, né a un giusto senza peccato, ma a una semplice donna a suo tempo complice, ora dolente testimone.