Non è improbabile che Medardo Fraile sottoscrivesse l’anatema di Borges contro il romanzo: “Vaneggiamento laborioso e avvilente…” (Meglio in spagnolo: “Desvarío laborioso y empobrecedor…”). Forse Borges intendeva, con ironia, una giustificazione innecessaria. Vero è che, di tutti i generi, il racconto è quello che somiglia di più alla poesia breve. O viene bene alla prima stesura, o la sua infelice sorte è il cestino. In modo meno plebeo, Julio Cortázar descrisse il concetto con un paragone tra i più citati: “Il romanzo si vince ai punti. Il racconto, col knock-out”. E García Márquez usò metafora edilizia: “Il romanzo si costruisce mattone dopo mattone. Il racconto, con una colata di cemento”. Tutti e due sono debitori della lezione sulla composizione di Edgar Allan Poe. Ma anche di quella più recente di Monterroso e Arreola. 



Tenacemente ispanico nonostante risiedesse dal 1967 a Glasgow, Medardo Fraile esercitò con merito l’arte del racconto, genere coltivato in modo particolare, e con prestigio, nel mondo di lingua spagnola. Tutti i grandi romanzieri del 900 sono stati anche autori di racconti; alcuni, migliori nei racconti che nei romanzi. La tradizione è antica: si ricordi che l’autore del Chisciotte non demerita nelle sue Novelle esemplari. E si ricordino pure i nomi di Quiroga, Bioy Casares, Rulfo, Aldecoa, Matute. 



Fraile era nato nel 1925, a Madrid. Aveva appena undici anni quando scoppiò la Guerra Civile e visse le penurie del dopoguerra appena adolescente. Da qui che il suo gruppo fosse chiamato, con oscura ironia spagnola, “i bambini della guerra”. Iniziò la sua arte letteraria con l’esercizio del teatro, dentro il gruppo “Arte Nuevo”, insieme ad Alfonso Sastre e Alfonso Paso. Dimenticato il teatro, passò al racconto breve, di cui fui riconosciuto maestro indiscusso. Nel 1967 si trasferì a Glasgow, dove insegnava letteratura spagnola in università. Non tornò più in Spagna. Racconta il suo editore che, alla domanda del perché non rientrava a Madrid, Fraile rispose con una frase degna di Ursula Iguarán: “Perché a Glasgow ho le mie medicine”. 



Nel 1956 pubblicò la sua prima raccolta narrativa: Racconti con un po’ di amore. Altri trenta titoli compongono la sua bibliografia, tutti o quasi tutti dedicati al racconto. Si sa che gli editori preferiscono i romanzieri ai narratori brevi. Si sa che esigono romanzi, anche se la motivazione non è estetica. Chi sceglie di sottrarsi a questa esigenza, figlia del marketing e della pubblicità, è perché ha scelto un preciso indirizzo estetico. Anche un rigore. 

La spiegazione di questo rigore si trova nel gruppo in cui si suole collocare a Fraile. I suoi coetanei sono Rafael Sánchez Ferlosio, Ignacio Aldecoa, Carmen Martín Gaite, Josefina Aldecoa e altri, chiamati dalla critica, che ama classificazioni e generazioni, “la generación del ’50”. 

Tutti loro si distinguono per una grande esigenza, sia nell’esercizio della letteratura che, con un più ampio respiro, nelle scelte estetiche. Curiosamente, un altro membro della stessa generazione coltivò con successo il genere del racconto. Ignacio Aldecoa scrisse schiette narrazioni di taglio neorealista, che risentono della sua inedita lettura dei narratori nordamericani del 900, attività insolita e quasi sovversiva sotto la cappa della censura franchista. Hemingway, Faulkner, Steinbeck, Dos Passos riecheggiano nella sua scrittura. La stessa affermazione vale per Medardo Fraile, con cui Aldecoa e compagni condividevano letture e scoperte. 

La sua indagine sulla narrativa breve lo conduce da deliziosi racconti sulla vita scolare o universitaria a esplorazioni nel fantastico. Il suo dominio del racconto non escludeva, non poteva escludere, il senso dell’umorismo, l’ironia, il sarcasmo. Non ignorava l’arte della composizione perfetta, rotonda, chiusa con l’attenzione ai particolari dell’orafo esperto. Fraile si è spento, ai primi di marzo, a Glasgow. Lascia una splendida lezione sulla narrativa breve.