GERUSALEMME – Con la Bolla Si ordinis fratrum minorum, papa Gregorio IX chiedeva ai Patriarchi di Antiochia e Gerusalemme, ai Legati della Sede apostolica e a tutti gli ecclesiastici di Terra Santa, di accogliere con benevolenza i frati minori. Era il 1230, la bolla è uno dei documenti più antichi ad attestare la presenza dei francescani sui Luoghi Santi ed il più antico in assoluto tra quelli conservati ancora oggi nell’Archivio della Custodia di Terra Santa. Una collezione che testimonia una storia ininterrotta, otto secoli di cura per le pietre che conservano la memoria della nascita del cristianesimo e per le comunità cristiane locali.
Allo stesso modo, una collezione ininterrotta che si fa portavoce della storia e della cultura che sono transitate dentro e intorno ai conventi dei frati minori è quella delle loro biblioteche, e in particolare della Biblioteca generale del Convento di San Salvatore, sede principale della Custodia a Gerusalemme.
Sia la Biblioteca che l’Archivio sono da tempo oggetto di cura, con l’avvio di importanti progetti di catalogazione ma anche con la creazione di spazi più adatti a conservarne e valorizzarne il contenuto. Proprio qualche giorno fa le nuove sedi sono state inaugurate.
“In tempi difficili come questi, con crisi politiche ed economiche che attanagliano e rendono difficile la vita di molte famiglie in tutto il mondo, dove le comunità cristiane del Medio Oriente sono in difficoltà di ogni genere e le crisi identitarie sono evidenti, può sembrare un lusso investire in biblioteche o archivi, libri impolverati e documenti, che solo pochi studiosi forse scruteranno. Non sarebbe meglio spendere questi soldi per i poveri?”. È iniziato con questa domanda il discorso del Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, a conclusione della giornata in cui gli esperti che si sono occupati e si stanno occupando dei progetti, hanno relazionato sul lavoro fatto e sul valore di quanto è conservato tra questi scaffali.
Oggetti belli e preziosi, in molti casi. I libri antichi miniati e i bellissimi Firmani dorati – i documenti legali in lingua araba e turca riguardanti le proprietà e i diritti della Custodia – sono solo alcuni esempi di un ricco patrimonio artistico. Un valore che però risiede soprattutto nel loro essere testimoni della Storia che conservano. E per questo il Custode stesso risponde alla possibile obiezione di chi ritiene superfluo investire sulla cultura dicendo che “non potrebbe esserci un errore di valutazione peggiore”.
“Nei libri, nei documenti, negli archivi, in poche parole nella nostra storia vi è anche il nostro futuro. Proprio in questi tempi così difficili, è necessario mettere a fuoco la nostra identità, avere chiara la percezione della realtà, essere capaci di visione, darsi prospettive”. E ancora: “Non c’è bisogno solo di pane, ma anche di senso. E non possiamo trovarlo senza darci dei criteri che è possibile comprendere solo nello studio e nella conoscenza della nostra storia”.
Non a caso, per il progetto condotto sulle opere della Biblioteca − tutt’ora in corso e coordinato dal professor Edoardo Barbieri dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – è stato scelto il nome “Libri ponti di pace”. Come si diceva, i diversi fondi librari che compongono la collezione dei francescani hanno una continuità ininterrotta nel tempo. Cinque secoli di libri, una tradizione di cultura che in un territorio complesso come quello di Gerusalemme – e del Medio Oriente più in generale – può davvero diventare un “ponte” di conoscenza, di approfondimento di ciò che è altro da sé, di dialogo tra le fedi e le culture diverse che abitano questa terra.
La cultura come sostegno nella conoscenza di sé e dell’altro, dunque, ma anche come opportunità di educazione e di sviluppo sociale ed economico. Nel progetto “Libri ponti di pace” la possibilità è stata sfruttata da giovani italiani, neolaureati o studenti della Cattolica che hanno potuto vivere e lavorare a Gerusalemme ma le offerte educative e culturali della Custodia hanno a cuore soprattutto la formazione della popolazione locale. Sempre partendo dalla consapevolezza che promuovere la dignità dell’uomo − “parte integrante della nostra missione” come dice ancora padre Pizzaballa – non significa solo costruire case o creare occasioni di lavoro, ma anche permettere a tutti l’accesso alla cultura, facendo fruttare il più possibile la ricchezza degli strumenti che la Custodia nei secoli ha accumulato. E, infine, “individuare giovani palestinesi che abbiano voglia, passione ed energia per studiare e per investire nello sviluppo della conoscenza del proprio territorio e della sua storia. Il carattere cristiano di Terra Santa si difende anche in questo modo. Il senso di appartenenza si costruisce soprattutto in questo modo”.