“Francesco ci unisce”. Così mi ha scritto l’altra sera uno storico laico, massimo esperto a livello internazionale di studi francescani, rispondendo a una mia mail entusiastica nel riportare quel binomio “papa Francesco”, assai bello ma in apparenza paradossale: Francesco, il nome di un santo profetico e da alcuni considerato anti-gerarchico, è ora il nome di colui che sta al vertice della gerarchia cattolica: il papa.
Per quanto sia convinta, sul piano storico (come dirò fra breve), che Francesco di Assisi fosse profondamente consapevole della sua fedele appartenenza alla Chiesa anche istituzionale, devo ammettere che sentire e vedere il suo nome associato a quello del Pontefice mi fa ancora un certo effetto, piacevole e sconvolgente, nello stesso tempo. Un santo, che ho amato tanto da chiamare come lui mio figlio e che mi ha invitato più di altri a studiare la storia medievale, oggi dà il nome al papa! Ci sono ragioni per riflettere su tale scelta; io per ora mi limito a qualche considerazione di tipo storico e lo farò con la guida di tre verbi che papa Francesco ha usato come parole-chiave nella sua prima omelia rivolta ai cardinali lo scorso 14 marzo: camminare, costruire, confessare.
Dice il papa: “Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va”. Francesco d’Assisi fu un grande camminatore e si fermò poco davvero. Da una dimora ricca e sicura dentro le mura, uscì a piedi fra i lebbrosi da assistere; a piedì andò a Roma nel 1210 per chiedere a papa Innocenzo III l’approvazione della sua prima compagnia di frati; camminò fra molte borgate e città a predicare finché arrivò, più lontano, oltremare, alla “presenza del soldan superba” (1219). Ma uno dei suoi cammini più faticosi avvenne vicino alla sua città natale: nella notte, sulla neve a piedi nudi e con i ghiaccioli pendenti dal saio a ferirgli le gambe, si ritrovò a santa Maria degli Angeli con la porta chiusa in faccia! “Se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è perfetta letizia” (Fioretti, cap. VIII).
Continua papa Francesco: “Edificare la Chiesa. Si parla di pietre: le pietre hanno consistenza; ma pietre vive, pietre unte dallo Spirito Santo. Edificare la Chiesa, la Sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore”. Viene subito alla mente un episodio, riportato dalla Leggenda dei tre compagni e dal Testamento di Chiara, in cui Francesco, dall’alto di un malandato tetto sopra una chiesetta da ricostruire, canta in francese: “Venite, aiutatemi nel lavoro per la chiesa di San Damiano, che diventerà un monastero di signore, e per la fama della loro santa vita sarà glorificato in tutta la chiesa il nostro Padre celeste!”.
Lavora Francesco, lavora con le sue mani anche intorno alla Porziuncola e altrove, ma l’immagine che forse ci rimane più impressa, a questo proposito, è quella di Giotto (nel sogno di Innocenzo) che raffigura il santo di Assisi mentre regge un pesante edificio: è “la” Chiesa da sostenere, da ricostruire, sempre, e Francesco lo fa, reggendola con le sue mani, riformandola dall’interno con il suo esempio. Una delle fatiche più grandi ed eroiche avvenne per Francesco quando ubbidì a papa Gregorio IX nell’impegno (compiutosi negli anni 1221-1224) di dare un assetto normativo per una fraternità che stava crescendo a dismisura e che lui non avrebbe voluto inquadrare in rigidi schemi, lontani dalla sua sensibilità. Seguire le orme di Cristo e il vangelo alla lettera. Quello era il suo desiderio! Eppure non solo detta la regola (anzi le regole, visto che la prima non viene “bollata”), ma nel 1220 consegna, lui vivo, il “suo” ordine a un nuovo superiore, Pietro Cattani, con un gesto che a me ricorda quello, recentissimo, di Benedetto XVI.
Francesco d’Assisi è un uomo che ha costruito muri e cuori, sempre. A questo punto però papa Francesco ci spiazza tutti (credenti e non; storici e non); dice infatti: “Terzo, confessare. Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una Ong assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore”. E qui irrompe tutto l’amore che Francesco d’Assisi ha dato a Cristo, tanto da assimilarsi con l’Amato, non solo nel gesto clamoroso delle stigmate, ma in tutta la sua vita, perché la famosa povertà per cui egli è ben noto nasce da lì: dal suo amore a Cristo, abbracciato in san Damiano, baciato sul lebbroso, visto nel nemico di prima, sorpreso (perché no?) anche nel sorriso di Chiara e “in tutte le Sue creature”. L’amore alla natura, al creato, ai biscotti di donna Giacoma richiesti in punto di morte vengono da lì.
Non è un pauperismo esasperato e volontaristico quello di Francesco! La sua figura storica affascina gli studiosi tanto che le fonti francescane sono seconde solo alla Bibbia in quanto a studi e traduzioni, ma sfuggirà sempre a qualsiasi nostra lettura parziale e continuerà a interrogarci all’infinito proprio perché tutta tesa a un Amore infinito. Ma questo non può dividerci fra credenti e non, perché, come ha detto il grande predecessore di papa Francesco, il quale non a caso portava il nome di un altro santo medievale che ha contribuito a ricostruire l’Europa: “Nessuno può dire: ho la verità (…). È la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei” (Benedetto XVI, Omelia a conclusione dell’incontro con il Ratzinger Schülerkreis, Castel Gandolfo, 2 settembre 2012).
Alcune proposte di letture. Per chi volesse approfondire la storia francescana, suggerirei di partire dagli scritti di Francesco che si leggono in traduzione italiana in Fonti francescane (I edizione 1977; II ed. 2004), Editrici Francescane, Padova; per l’originale in latino, cfr. Fontes Franciscani, a cura di S. Brufani, E. Menestò, ed. Porziuncola, Assisi 1995. A livello specialistico, completo e ampio è il volume: Francesco d’Assisi e il primo secolo di storia francescana, a cura di A. Bartoli Langeli – E. Prinzivalle, Torino, Einaudi, 1997. Fra le numerose biografie storiche segnalo solo: Raoul Manselli, San Francesco, Roma, Bulzoni Editore, 1980; Franco Cardini, Francesco D’Assisi, Oscar Mondadori, Milano 1989. Sul rapporto fra il santo e i pontefici, resta fondamentale: P. Zerbi, S. Francesco d’Assisi e la Chiesa Romana, in Francesco d’Assisi nell’ottavo centenario della nascita, Milano 1982, 75-103, e, per un caso analogo e vicino, M.P. Alberzoni, Chiara e il papato, Biblioteca Francescana, Milano 1995. Per i film, raccomando quelli di Liliana Cavani perché il lungometraggio “Fratello sole e sorella luna” (Zeffirelli) contiene davvero troppi errori storici, primo fra tutti lo stravolgimento del rapporto fra il vescovo Guido d’Assisi e Francesco, che ebbero sin dall’inizio un legame positivo e, tra l’altro, decisivo nell’introdurre i primi frati Minori nel 1210 alla curia romana attraverso il cardinale Giovanni di San Paolo.