Il recente ritrovamento del bunker fatto costruire da Mussolini nei sotterranei di Palazzo Venezia (cfr. l’articolo su La Stampa di Mattia Feltri) non è solo una curiosità storica che potrebbe diventare, se ben ristrutturato, un’attrazione turistica. È il segno di quella tragedia degli equivoci che fu, secondo una certa storiografia di parte fascista, la Seconda guerra mondiale. La figura del Duce, negli ultimi anni di una guerra persa rovinosamente, appare spoglia della protervia e dell’arroganza degli anni del trionfo. 

Proprio in quegli anni, fra il 1936 e il 1940, mentre l’Italia fascista (e afascista) si macchiava di crimini spaventosi in Etiopia, Mussolini operava un avvicinamento con la Germania che andava contro tutta la tradizione risorgimentale e popolare italiana. Allo stesso tempo, però, non interruppe mai i contatti epistolari con Churchill che avrebbero portato a una specie di furbesco doppio gioco, molto italiano, sia nel suo machiavellismo sia nei risultati, rovinosi e degradanti. 

In estrema sintesi, Mussolini sarebbe entrato in guerra a fianco della Germania, che appariva sicura vincitrice, ma con l’idea di fare da mediatore al tavolo della pace. Proprio per questo motivo, per questa “guerra per finta”, l’Italia non attaccò Malta e non compì operazioni di rilievo contro l’Inghilterra nei primi sei mesi di guerra. L’Inghilterra, invece, sferrò una grande offensiva in dicembre in Africa settentrionale distruggendo un’intera armata e la Storia prese il corso che sappiamo. 

Nel 1942 la Royal Air Force preparò, con l’assenso di Churchill, piani per bombardare le residenze del Duce il quale, avutane notizia, fece costruire alcuni bunker a Roma. Povero Duce, tradito da Churchill di cui tanto si fidava! In effetti proprio settant’anni fa, all’inizio del 1943, Mussolini, comprendendo di aver perso la guerra iniziò a pensare che il nutrito carteggio intrattenuto con Winston Churchill avrebbe potuto giustificare, almeno davanti al tribunale della Storia, la catastrofe in cui aveva precipitato l’Italia. Carte e bunker contro le bombe, insomma. 

Buone intenzioni e documenti (!) in una guerra sempre più spietata dove i capi di Stato muovevano i propri servizi segreti per assassinare i rivali. Basti pensare che il grande attore inglese Leslie Howard, l’Ashley di Via col vento trovò la morte su un aereo mitragliato dalla caccia tedesca nel giugno del 1943, probabilmente perché i nazisti pensavano che sul velivolo si trovasse Churchill in persona. E che dire dell’abbattimento dell’aereo su cui viaggiava l’ammiraglio giapponese Yamamoto? 

Di fronte a questa feroce determinazione il povero Duce fece una figura patetica: un romagnolo umanamente più simpatico dei suoi colleghi/avversari e che poteva suscitare quasi pietà se non fosse che, nel momento del successo, si comportò con totale sprezzo dello giustizia e del buon senso, promulgando leggi razziali che non avevano alcun diritto di cittadinanza nella storia italiana. E che dire del fatto che, nell’agosto del 1940, l’Italia avesse conquistato con duri combattimenti la Somalia britannica, per non parlare poi dell’attacco alla Grecia? 

Mussolini e l’Italia di allora si comportarono come quei bulli che vogliono far valere la propria superiorità fisica nei confronti di chi è più piccolo o mingherlino, salvo scoprire troppo tardi che sono andati a oltraggiare una cintura nera di karate: si ritrovano col naso spaccato e piangono, maledicendo non la propria stupidità e arroganza ma di essere stati “traditi” dalle apparenze. Tuttavia non sarebbe giusto prendersela solo con Mussolini per quella che appare essere una costante nella storia italiana. Anche nella III guerra di indipendenza del 1866, prima di Custoza e di Lissa, i governanti italiani pensavano di fare la guerra all’Austria per finta (tanto ci avrebbe pensato la Germania), e così in altre occasioni della nostra storia. 

Nel dopoguerra, poi l’incapacità italiana di pensare la nazione come soggetto protagonista di una politica estera è stata costante e, proprio in questi giorni, con la vicenda dei due fucilieri di marina incriminati di omicidio dal governo indiano, ha toccato un nadir al quale non si riteneva possibile arrivare. Non c’è niente di peggio, per un uomo o per una nazione intera, che fare colpi di testa o smargiassate, percorrere scorciatoie legali e morali per poi chiedere scusa umilmente e tornare sui propri passi. È in questi momenti che ci si vergogna di essere italiani a un punto tale che persino Mussolini ritorna simpatico. Perché come diceva il grande Piero Gobetti, quel fascismo così esecrato da tutti gli italiani, così innominabile che appena uno ne apprezza alcune iniziative subito si scatena la caccia all’uomo, è “l’autobiografia della nazione”.