Che dire di questa Pasqua che arriva in anticipo con un tempo ancora da brivido, essendo ormai la primavera alle porte con la sua luce, il suo tepore e gli alberi ornati di gemme e di fiori? L’ultimo colpo di coda dell’inverno vuol prendersi l’estrema rivincita. Freddo e neve prima di regalare le giornate lunghe e tepide della primavera che tutti attendono come l’aprirsi d’una gemma bella e rifiorente. Piace inoltrarsi in questa festività che entra nel cuore profondo e pulsante del mistero cristiano con i due temi che la Quaresima presenta quale guida spirituale per il cammino di preparazione all’evento: la preghiera e la penitenza.
La preghiera è un inchinarsi davanti a Dio, nostra roccia e nostro presidio di difesa. Si può progettare, costruire, edificare, ma se non si fa in compagnia di e con Gesù Cristo, con la sua croce di legno infissa di chiodi lancinanti, non con quella nostra di carta e di propositi disattesi, invano costruiamo l’edificio della Chiesa. È un’attesa orante e piena di raccoglimento nell’interiore dell’uomo nuovo, codificato da san Paolo, quello pneumatico, che ha superato le tortuosità vischiose del torbido freudiano, per innalzarsi alle vette dello spirito.
L’ha ricordato una delle tentazioni di Cristo inasprito dalle prove nel deserto ma luminoso poiché “pieno di Spirito Santo”. Quando risponde al tentatore, la prova suprema dell’Io del Figlio di Dio davanti all’opzione grandiosa e terribile di donarsi in tutto al Padre, senza esitazione: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). La preghiera è la presenza orante di Dio scoperto entro il circuito del nostro spirito raccolto, è un entrare dentro al Padre Nostro insegnato da Cristo stesso all’uomo che ricerca una via sicura per riscoprire Dio nell’io e in mezzo a noi in azione di misericordia. Non bisogna stancarsi di chiedere perdono, a un Dio paziente e che non si stizzisce mai di perdonare.
Sono le parole appena pronunciate dal neoeletto pontefice, nuovo «vescovo di Roma» Francesco, umile e semplice giullare di Dio, nel suo primo Angelus. Egli trova in san Francesco e in sant’Ignazio le due grandi convergenze, della semplicità nel credere in trasparenza e dell’ardore nel fare dinamico. Quel Dio “grondante misericordia” rappresenta il Dio discendente con la sua giustizia giustificatrice (la giustizia di Dio è sempre fondata sulla sua misericordia, dice san Tommaso) e l’uomo risponde con quella “pietas”, studiata da Giuseppe De Luca – sacerdote romano per elezione - che altro non è se non “presenza amata di Dio” nella consuetudine del vivere cristiano. È il Dio ascendente trascinante l’uomo.
La penitenza è un mettersi in viaggio con Cristo crocifisso e camminare per edificare in noi il Corpo mistico di Gesù Cristo, come ha rimarcato la teologia già iniziata con i grandi teologi di due secoli fa, intorno e all’indomani del Concilio Vaticano I (1870). La sua nozione si determina come un sapersi limitare nelle pulsioni incontrollate, nei bisogni e nelle esigenze materiali del nostro benessere e nelle fatue divagazioni intellettuali. Le nostre golosità, le nostre compiacenze interiori, le nostre soste sospette del pensiero possono trovare una via diversa di realizzazione orientandosi al bene del prossimo, sempre più bisognoso di supplementi di aiuto sotto ogni profilo. C’è ancora bisogno di “un supplemento d’anima”, diceva il filosofo Bergson, per la civiltà moderna, frantumata per l’assenza di valori e di punti di riferimento.
Per coloro che hanno a cuore una diligente cura dell’anima anche solo di ordinaria amministrazione, un minimo di sollecitudine dello spirito conduce a una riflessione più nobile di quelle che ogni giorno si attardano sul piano orizzontale, che altro non è che l’asfissia del terribile quotidiano, portando ad una vita grama e insignificante. Il Vangelo della prima domenica di Quaresima ha portato alla riflessione di un Cristo nella solitudine del deserto a pregare. Proprio nell’orazione più intensa sorgono le mega tentazioni, dell’avarizia: la possessione spasmodica del tutto, specie della cosa pubblica; il desiderio di competere con la divinità nella ribellione dello spirito, quasi per carpire un frammento di immortalità al “Dio vivo e vivente”, Signore dell’universo e della storia; il capriccio dell’apparire fino a rendere il culto a Dio uno spettacolo folklorico del meraviglioso.
Il peccato resta sempre una mancanza di equilibrio, un venir meno alle proporzioni della realtà, un volersi supervalutare a scapito degli altri, e soprattutto nel “vivere come se Dio non esistesse”, fidando in modo eccessivo nelle capacità dell’uomo. In questi casi non riconosciamo le nostre forze oggettive sempre limitate e ci proiettiamo nell’attesa dell’ingannare noi stessi. Il vuoto dello spirito ne è la conseguenza immediata. Con il tempo forte dello spirito della Quaresima il nostro atteggiamento permane quello di ritrovare noi stessi, cioè l’essere cristiani, comprendendo l’essenza del messaggio evangelico, per respingere il desiderio smodato del potere e per assicurare la libertà dello spirito nell’accettazione della Parola di Dio incarnata tra gli uomini.
Si è visto nella celebrazione della Via Crucis, come il figlio di Dio si è sottomesso all’umiliante calvario dell’offesa personale, alla coronazione di spine, alla flagellazione lancinante, all’offesa provocatoria dei soldati, truculenti nelle loro sfide volgari. E i discepoli impauriti fuggire arrivando persino al tradimento di Pietro, il principe degli apostoli, colui che avrebbe dovuto confermare gli altri nella fede, “la roccia del credere”.
L’uomo resta sempre fragile nel suo percorso, nel faticoso cammino dell’esistenza; e l’ausilio di Dio è una costante per chi voglia pervenire al termine della via. “Ho combattuto la buona battaglia, sono arrivato al termine della corsa, ho conservato la fede” (Tim 4,6), grida ancora san Paolo a chi ha intrapreso il viaggio della fede alla sequela di “Cristo morto e risorto” in sintonia alla «kenosis» di “Cristo che umiliò se stesso fino alla morte di croce” (Fil 2,6-8). Con il discorso della Incoronazione davanti a milioni di persone, il papa Francesco invita alla purezza dell’agire: cura del creato e rapporti tra gli uomini e tra gli stati spalmati di bontà fino alla tenerezza verso i più poveri, per custodire una vita degna dell’evento della Pasqua, che sfocia nell’ottimismo della visione cristiana. E il potere (anche quello politico ed ecclesiastico: primato di Dio, cioè della carità) altro non è che un servizio a giovamento di tutti, a cominciare dagli ultimi.
Per questa Pasqua si propone la conversione dell’uomo restaurato, direbbe Giani Stuparich, sotto l’azione attiva della misericordia di Dio, abbondantemente invocata dal sommo pontefice Francesco, in attesa di rinascere con il nuovo organismo teologale di una fede purificata, fondata e radicata sulla morte e risurrezione di Gesù Cristo. E rifondare il nostro assenso a Dio rimeditando san Paolo, il mistico apostolo delle genti: “Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede” (1 Cor 15,16).