Per Kierkegaard «l’unico cristiano contemporaneo di Cristo» è il cosiddetto “buon ladrone”. Durante la crocifissione, mentre la quasi totalità degli apostoli rimane nascosta (e rinnega, in modo più o meno esplicito, il legame con il proprio maestro), questo malfattore sceglie di confidare in Gesù.
«Che fede! – scrive sant’Agostino –. A una simile fede non so cosa aggiungere. Coloro che hanno visto Cristo risuscitare i morti hanno vacillato. Egli invece ha creduto in colui che vedeva appeso al legno accanto a sé. Nell’istante stesso in cui i primi hanno vacillato, egli ha creduto».
È con una convinzione davvero inattesa che il buon ladrone si raccomanda a quell’illustre compagno di agonia che tutti, o quasi, sembrano aver abbandonato. Non dobbiamo stupirci, perciò, quando leggiamo che tanti grandi del passato, da san Giovanni Crisostomo a Simone Weil, passando per Joseph Haydn e santa Teresa di Lisieux, hanno nutrito un forte affetto per il suo gesto, per le sue umili parole, per la sua schiettezza.
Sul suo conto, tuttavia, se escludiamo i dati aggiunti dalla tradizione e dai vangeli apocrifi (ad esempio i nomi “Disma” e “Tito” con i quali il buon ladrone viene talvolta ricordato), sappiamo soltanto ciò che racconta Luca nel passo in cui descrive i momenti vissuti da Gesù sul Golgota: «Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio benché condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”» (Lc 23, 39-43).
Per un artista, di solito, è abbastanza facile raffigurare il cattivo ladrone: non deve far altro che passare in rassegna le categorie del brutto e delineare un personaggio sgraziato e ribelle che si contorce sulla croce tra mille spasmi. Con il malfattore pentito, invece, la cosa si fa più complicata e, al tempo stesso, stimolante. Restituire il volto a un delinquente che di punto in bianco viene investito da una nuova e inattesa luce è sicuramente una bella sfida! Si accavallano tante domande nella mente dell’artista. Puntare sul contrasto con il cattivo ladrone o concentrarsi sul dialogo con Gesù? Abbozzare un vecchio farabutto fresco di conversione oppure un enfant prodige del crimine che si ravvede in punto di morte?
Al di là delle diverse scelte di iconografia e di intonazione, sono davvero molti i buoni ladroni che l’arte, nel corso dei secoli, ci ha regalato. C’è, ad esempio, quello dipinto da Vincenzo Foppa nel 1450 per la tavola con I tre crocifissi custodita all’Accademia Carrara di Bergamo (ma, in questi giorni, ospitata al Museo Diocesano di Milano). È un malfattore riconciliato con Dio e con se stesso, avvolto da un velo di pace che il cattivo ladrone non potrà mai conoscere. Oppure c’è quello rappresentato nel 1521 dal Pordenone nell’enorme Crocifissione del Duomo di Cremona, un uomo grande e grosso che vorrebbe spezzare le corde per volare ad abbracciare quel Nazareno che pochi minuti prima gli ha promesso una nuova vita.
E, per venire a tempi meno lontani dai nostri, come dimenticare i buoni ladroni disegnati sul finire dell’800 da James Tissot, un vero e proprio specialista dell’iconografia cristiana? Questo pittore, famoso soprattutto per la Crocifissione vista dalla croce (un originalissimo acquerello che rappresenta il Golgota ricostruendo l’immagine che verosimilmente si presentò agli occhi di Cristo durante la sua agonia), torna più volte sul personaggio e in un foglio del Brooklyn Museum di New York lo raffigura perfino nel momento in cui, scortato da due enormi angeli, sale verso il paradiso, proprio come gli aveva garantito Gesù.
La lista dei buoni ladroni descritti dall’arte potrebbe continuare quasi all’infinito. Il più indimenticabile, però, rimane probabilmente quello raffigurato da Rubens, intorno al 1620, nella Crocifissione (nota anche come Le coup de lance) del Museo Reale di Belle Arti di Anversa. Anche se non si dimena con la foga del cattivo ladrone, questo malfattore pentito soffre molto. Si vede chiaramente. Soffre per il proprio supplizio e per quello di Gesù. Si agita, non riesce a stare fermo, ma la sua sofferenza non si traduce in disperazione perché sa di non essere solo. La frase «oggi sarai con me nel paradiso» gli riempie il cuore di speranza. E, per uno strano gioco di prospettiva, mentre la sua mano destra sembra voler fermare la lancia del soldato, la sinistra sembra aggrapparsi a Gesù. È solo un’illusione ottica, ma intanto la sua mente, quella sì, si è già aggrappata con decisione al Salvatore.
Per quasi tutti gli artisti è sul Golgota che esce allo scoperto il carattere del nostro personaggio. Fino al giorno della condanna a morte, probabilmente, la sua risolutezza non si era spinta più in là di una sciocca spavalderia, buona solo per guadagnarsi il plauso dei compagni di crimine.
In croce, invece, il buon ladrone sfodera un vero coraggio. Trova la forza di cambiare. Si pente, rimprovera l’altro malfattore e, con molta semplicità, rivolge a Gesù la più umile delle suppliche (non dice «salvami», ma «ricordati di me»!). La sua vicenda, quindi, raccontata dal vangelo di Luca o riletta da qualche pittore, scolpita nella nostra mente o tradotta in musica da Haydn, ci ricorda che è sempre possibile abbandonare il male per abbracciare il bene. Serve soltanto uno strumento che di questi tempi sembra ogni giorno più raro: il coraggio.