Un processo di morte, una malattia dell’anima, un male che minaccia e seduce: è la corruzione secondo Jorge Mario Bergoglio, papa Francesco, da lui descritta e nei discorsi alla diocesi di Buenos Aires nel 2005. Questi discorsi oggi sono raccolti in un libro, Guarire dalla corruzione, edito da Emi e pubblicato lo scorso 26 marzo. Nella prefazione di questo primo volume del papa argentino pubblicato in Italia viene descritta la corruzione come peggiore del peccato, e il corrotto peggiore del peccatore, un malato da curare, che non accetta altro fuori da sé, e rifiuta la luce della verità. Come Giuda, protagonista della passione di Cristo che viviamo in questi giorni ed esempio dell’uomo corrotto, che tradisce e non crede nel perdono e nella misericordia del Padre. Dinamiche di un male assoluto, espresse con un linguaggio semplice ed efficace, e con immagini di forte pregnanza. Le abbiamo commentate con Carlo Marroni, vaticanista del Sole 24 Ore, che domenica scorsa ha pubblicato in anteprima la prefazione del libro.
Nel 2005 l’arcivescovo Bergoglio parlava di corruzione alla Chiesa argentina: che impatto può avere oggi questo discorso sulla nostra società? E che impatto può avere sulla Chiesa, ora che Bergoglio è papa?
E’ un piccolo manifesto, uno spaccato dei comportamenti degradati, che ci fa pensare a come approcciare le questioni interne. Questo messaggio è fortissimo, senza dubbio, e chiama a fatti concreti, ad un’opera di pulizia. Lo ha pronunciato nel 2005, quando lui poteva diventare papa, in un’Argentina che stava uscendo dalla grande crisi.
Il suo messaggio trascende il contesto da cui prendeva spunto?
Evidentemente in Argentina la corruzione è una regola di vita, non so quanto di più rispetto alla condizione dell’Italia di oggi. Sicuramente però questo è uno dei temi forti del pontificato, che è partito parlando di povertà, pace, misericordia, ed è il primo tema più secolare: la corruzione, infatti, non è una questione di fede, ma riguarda ogni uomo.
Si descrive la corruzione in modo nuovo, senza accennare a niente di quello che ci aspettiamo. La corruzione come male dell’anima, una povertà da curare …
La cosa forte è il concetto “peccatori sì, corrotti no”, questa è la chiave. Per la corruzione c’è l’aggravante della volontà del fare il male, mentre il generico peccato viene fatto con una certa inconsapevolezza. Bergoglio sottolinea la gravità della corruzione quando dice nella prefazione che il corrotto passa la vita nelle scorciatoie dell’opportunismo, a prezzo della dignità. E’ questo che lo aggrava. In questo libro si va oltre, si alza l’asticella, c’è un passaggio in avanti.
Quale secondo lei?
La corruzione viene considerata come la somma di tanti peccati capitali. E poi c’è anche la modernità: il Papa parla della corruzione, di un male che è sempre esistito, e lo fa interpretandola in funzione della società di oggi, senza modificare la dottrina come vorrebbero molti. E sottolinea che la corruzione ha un humus propizio per svilupparsi nella debolezza umana e nella complicità.
La postfazione del libro è di Pietro Grasso: cosa significa accostare questi personaggi, con due visioni diverse della corruzione?
Grasso è il simbolo di un certo modo di intendere lo Stato. Ma una cosa è lo Stato, una cosa è l’anima: Bergoglio parla della corruzione da cardinale, e la intende come corruzione dell’anima – il farsi comprare, in tutti i sensi, male supremo per chi esercita la funzione pubblica – in un messaggio destinato al suo mondo, alla chiesa argentina sofferente. Riproporlo oggi, con Bergoglio papa, vuol dire trasmettere un messaggio alla curia, per dire “tornate alla fonte, tornate all’origine”, pur sottolineando che è difficile guarire un cuore corrotto. È un bellissimo scritto, che ci ricorda anche alcuni discorsi pronunciati da Ratzinger nello stesso senso.
Quali passaggi l’hanno colpita di più?
Quando si parla di odio dell’ipocrisia, scrivendo che “il corrotto ha la faccia da non sono stato io, la faccia da santarellino. Si meriterebbe un dottorato in cosmetica del sociale, e il peggio è che finisce per crederci”: anche in Italia chi è accusato di corruzione si difende fino alla fine, come se non avesse fatto nulla. Questa la vera corruzione della società, pensare che una cosa che fanno tutti alla fine sia lecita, questo è il male. Il concetto dell’anima del corrotto che assume le caratteristiche del lombrico, e vive nelle tenebre sotto terra, è molto ratzingeriano: anche a Benedetto XVI piacevano le immagini semplici per poter spiegare concetti importanti. E Bergoglio è così, usa le parole della gente.
E proprio a Ratzinger ha fatto riferimento nel corso dell’udienza ai diplomatici, qualche giorno fa, parlando di dittatura del relativismo come forma di moderna povertà.
È stato il giorno prima dell’incontro a Castelgandolfo, quindi probabilmente papa Francesco ha voluto dare un messaggio di continuità con il predecessore, lui che viene considerato già come un innovatore. Il tema della dittatura del relativismo non è morto, ma per ora non sembra più centrale come prima.
In questi primi tempi, il Papa ha usato parole semplici, concetti chiari che arrivano alle persone. Continuerà così, o dobbiamo aspettarci un cambio?
Ci sarà un giorno in cui Bergoglio dirà qualcosa di forte su temi come la vita, o la famiglia, ripercorrendo e ribadendo la posizione della Chiesa, e la sua, quella che da cardinale ha sempre difeso. Lui non è un “liberal” sui temi fondamentali. Il giorno in cui Bergoglio dirà certe cose ci sarà un brusco risveglio per molti, che capiranno che il papa non è un capo laico che deve blandire la pubblica opinione. Sicuramente darà alla Chiesa un punto di riferimento di cui ha bisogno. E’ un uomo in cui i cattolici possono identificarsi di nuovo. Senza dubbio questo sta accadendo.
Quali saranno i prossimi passi?
Ci sarà un cambio di rotta nella gestione, questo è chiaro, e nell’agenda dell’apostolato: c’è una nuova evangelizzazione, si torna ad essere annunciatori della Chiesa universale, questa è la forza di questo papa. Poi c’è da riformare la Chiesa, portando fino in fondo il Concilio, rendendola più collegiale, e meno verticistica rispetto al passato, per creare una catena di comando che negli ultimi anni è mancata. Ma questa è la politica, mentre sulla teologia e i bastioni dottrinali non ci saranno cambi.
(Maria Elena Rosati)