Negli ultimi anni della sua vita, Michelangelo ci appare sempre più attratto dal legame tra Cristo e sua Madre, sia nella rivisitazione dei soggetti a lui più consueti della Crocifissione e della Pietà, sia nella ricerca di nuove occasioni che lo conducano al livello più intimo di quella misteriosa preferenza affettiva, immaginata nella prova dell’estremo distacco e nello stupore di un nuovo inizio.
Tra un colpo e l’altro assestati sul marmo sempre più sottile e sfilato della Rondanini, passando dallo scalpello alla matita nera, Michelangelo ferma su un foglio (Cristo Risorto appare alla Madre. Oxford, Ashmolean Museum, inv. 1846.91), tra i molti che ingombravano scansie e tavolati della sua casa a Macel de’ Corvi, un episodio della mattina di Pasqua che non si rintraccia nei racconti evangelici: l’apparizione di Gesù Risorto alla Madre. È come un’idea improvvisa, subito versata sullo spazio libero di un foglio che riporta in alto a sinistra un promemoria autografo.
Secondo una tradizione risalente ai primi secoli cristiani, Maria è stata la prima ad aver ricevuto la visita del Figlio risorto, un fatto ritenuto così ovvio da giustificarne il silenzio nelle scritture canoniche. Attorno al 1300, le Meditationes Vitae Christi dello Pseudo Buonaventura determinarono un’immagine narrativa e iconografica dell’episodio che ebbe larga diffusione nei secoli successivi, soprattutto in ambito francescano e nell’Europa settentrionale. L’incontro sarebbe avvenuto alle prime luci del giorno nella casa dove Maria era rimasta sola a pregare, mentre le altre donne si recavano al sepolcro: ritrovandosi, Madre e Figlio si inginocchiarono uno davanti all’altra. Così immaginata, la scena facilitava immediate connessioni con l’iconografia dell’Annunciazione. Infatti, Filippino Lippi, in una tavola che Michelangelo avrebbe potuto conoscere, raffigura il colloquio mistico tra Maria e il Risorto in un ampio paesaggio gerosolimitano, sovrastato nel cielo dall’Eterno e dall’Annunciazione (Monaco, Alte Pinakothek). Il tema venne ripreso nel corso del Cinquecento e trovò un’esplicita menzione negli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio – anch’essi potenzialmente noti al Buonarroti – con una interessante novità nella ricostruzione dei fatti: l’apparizione sarebbe infatti avvenuta subito dopo la discesa agli Inferi, al punto che Cristo si sarebbe presentato alla Madre con tutti il corteo dei salvati. Con questa manifestazione Maria comprese e godette non solo della nuova vita del Figlio, ma anche del pieno valore redentivo del suo sacrificio.
Nel disegno di Oxford, Michelangelo sembra effettivamente riflettere sul legame simbolico e narrativo tra l’Annunciazione e l’Apparizione del Risorto alla Madre, rispettivamente percepite come l’inizio e il compimento della maternità di Maria, punto focale del mistero dell’Incarnazione.
La Vergine è infatti seduta su uno scranno ligneo che ricorda quelli delle Annunciate quattrocentesche, forse con l’allusione a un trono regale, confermata dal ricco abbigliamento e dall’acconciatura “divina” della figura. Come spesso accade nei disegni dell’ultimo Michelangelo, si notano varianti che non sono correzioni, ma descrivono i diversi momenti dell’azione: qui, nel caso di Maria, si nota il passaggio da una posa ferma e frontale a un deciso moto di avvicinamento verso Cristo, apparso improvvisamente. Il viso prima si gira arretrando leggermente e poi si drizza deciso di profilo davanti al Figlio; le gambe, da ferme e incrociate alle caviglie, si muovono distendendo e puntando la destra a terra, come se la Vergine volesse alzarsi per andare incontro a Gesù, nella direzione segnata dalla mano sinistra. Alla statuaria figura della Vergine, tornita da un aderente panneggio classicheggiante, si contrappone la diafana apparizione del Figlio, un flusso luminoso che a rapidi tratti prende un’inequivocabile forma corporea. Subito abbandonata l’idea di tenerlo con i piedi a terra, Michelangelo lo lascia sospeso nel suo movimento aereo, come l’angelo dell’Annunciazione, facendolo provenire dal fondo e sfilandolo leggermente verso l’alto, come i risorti del Giudizio Finale. Anche nel volto il Risorto ricorda il Cristo giudice della Sistina, con le ciocche dei capelli agitate dal suo stesso procedere. Il sudario ricade dietro le spalle, come il mantello di un cavaliere, e si apre sul busto che esibisce la sua nuova limpida fisicità con veloci tocchi di matita. Con la mano sinistra Gesù risvolta il telo sul petto e indica la ferita del costato provocando in Maria un gesto di stupito e ancora dolente riconoscimento; la destra si distende mostrando nel palmo la trafittura del chiodo, mentre la mano sinistra della Vergine le si avvicina senza toccarla. È qui il culmine della tensione affettiva dell’incontro, ottenuta con la composizione quasi speculare delle due figure, che a partire dalla estroflessione delle gambe si attraggono reciprocamente verso il centro, fermando all’ultimo il contatto diretto tra le due mani.
È nuovamente il vertiginoso imporsi del rispetto – la verginità − nel legame più decisivo per l’umanità mendicante la redenzione. Michelangelo, sul limite estremo della sua vita, comprende e figura quell’istante come la ricapitolazione gloriosa del rapporto tra la Madre e il Figlio, un “sì” ininterrotto a quella Presenza, dall’annuncio dell’angelo allo strazio della croce, ora chiarito e sperimentato nel suo senso definitivo: la vittoria di Cristo sulla morte e su ogni altro limite umano.