Conservatore: nel mondo britannico questa parola nell’ambito politico e culturale ha sempre rappresentato l’idea del rispetto della Legge e dell’Ordine, la tradizione, l’identità. Oggi non più. Negli ultimi tempi è accaduto qualcosa che ha sconvolto le certezze degli Old Conservatives: l’evento devastante è stata l’apertura del premier David Cameron ai matrimoni omosessuali. Un “diritto” di cui peraltro nessuno avvertiva la necessità in un paese che da anni contempla nella sua normativa la possibilità di unioni civili di ogni tipo, come dimostra il caso di note star, quali Elton John.
Come mai Cameron ha deciso allora di interpretare un ruolo da Zapatero londinese? Come sempre, il movente in politica non ha nulla a che fare con l’idealità, ma con la costante fame di consenso e di voti, finalizzata alla conservazione del potere, l’unica conservazione che sembri ancora contare qualcosa per i conservatori. La mossa di Cameron ha portato peraltro ad un acceso dibattito interno tra i Tories, che ancora è vivo, per lo meno sulla stampa, in particolare il quotidiano di riferimento, il Daily Mail, ma Cameron ha deciso di stroncare la resistenza dei tradizionalisti Law and Order, in nome della modernizzazione (o della dissoluzione?) della società britannica.
Una polemica che può sembrare lontana dalla sensibilità italiana, dove la parola “conservatore” non ha mai goduto di stima, e non è mai stata rivendicata da nessuna parte politica. In Italia solo il grande intellettuale Prezzolini andava orgoglioso di definirsi conservatore, mentre tutta la storia della Destra in Italia ci parla di un’area politica che – dal risorgimento a Berlusconi passando per il fascismo – ha sempre rifiutato l’etichetta di “conservatore”, ritenendolo anzi un epiteto con cui bollare l’avversario di turno. Semmai il termine ha avuto (e ha ancora) una valenza in campo religioso. Prelati e teologi conservatori, contrapposti ai progressisti.
Anche in questo caso nei giorni scorsi il mondo conservatore britannico è stato scosso dai recenti avvenimenti ecclesiastici: prima la rinuncia di Benedetto XVI, accolta con profondo disappunto dal principale esponente del conservatorismo cristiano inglese, Roger Scruton, e in seguito le dimissioni del cardinale Keith O’Brien, arcivescovo di Edimburgo, accusato di aver fatto anni fa approcci omosessuali a suoi studenti di seminario. O’Brien era un solido conservatore, in prima fila da sempre in battaglie a difesa dell’ordine tradizionale, della famiglia, del matrimonio. Lo scandalo ha avuto un impatto terrificante sui fedeli di Scozia, e non solo.
Di fronte dunque a questa crisi del conservatorismo britannico, occorre una riflessione profonda, che non può non partire da uno dei più insuperabilmente lucidi intellettuali inglesi: Gilbert Keith Chesterton, che – guarda caso – non amava il concetto di “conservatorismo”, né in politica, né tantomeno in teologia, e vi opponeva il concetto di Ortodossia.
L’ortodossia – diceva nel saggio Ortodossia del 1908 − è la saggezza, e l’essere saggi è più drammatico che l’essere pazzi; è l’equilibrio di un uomo dietro cavalli che corrono a precipizio… La Chiesa seppe nei secoli guidare questi cavalli sfrenati, evitando gli ostacoli delle eresie, contro tutte le forze che avrebbero voluto un cristianesimo più mondano e controllabile. Ha evitato i trabocchetti degli errori e degli eccessi, senza mai perdersi. “Nella mia visione il carro celeste vola sfolgorante attraverso i secoli, mentre le stolide eresie si contorcono prostrate, e l’augusta verità oscilla ma resta in piedi”. L’ortodossia, per Chesterton, è per sua natura dinamica. “La teoria conservatrice sarebbe realmente travolgente e inoppugnabile se non fosse per questo solo fatto. Tutto il conservatorismo è basato sull’idea che se lasciate le cose sole, le lasciate come sono. Ma non è così. Se lasciate una cosa sola l’abbandonate alla corrente dei cambiamenti. Se lasciate sola un’insegna bianca, sarà presto un’insegna nera; se tenete a che rimanga bianca, dovete sempre ritingerla di bianco, cioè dovete sempre stare in rivoluzione. Insomma, se volete la vecchia insegna bianca, dovete avere una nuova insegna bianca”.
La metafora di Chesterton è trasparente: la verità è qualcosa di stabilito una volta per tutte, ma l’insegna che la indica deve essere rinnovata, o ridipinta di fresco, per stare alla sua immagine. Anche in teologia, come in politica, bisogna guardarsi dalle categorie di progressismo e conservatorismo. L’unica categoria vera e valida è quella dell’ortodossia, cioè − letteralmente − seguire la via retta, il pensiero giusto e il giudizio chiaro. L’ideale di progresso spesso diventa Utopia, una condizione estremamente pericolosa, un sogno di grandezza che già fece perdere ai nostri progenitori il Paradiso terrestre. L’utopia dell’essere come dèi, che è riaffiorata nella modernità del tutto e subito, e con facilità. Scrive Chesterton, con luminosa capacità profetica: “Tutti si lamentano della nostra epoca tumultuosa e dinamica, ma in verità, caratteristica principale di quest’epoca è la sua profonda pigrizia e stanchezza, ed è precisamente questa effettiva pigrizia la causa dell’apparente tumulto. (…) Ci sarebbe meno rumore se ci fosse più attività, se la gente camminasse semplicemente coi propri piedi. Il nostro mondo sarebbe più silenzioso se fosse più dinamico. E questo che è vero dell’apparente trambusto fisico è vero anche dell’apparente trambusto intellettuale. Il meccanismo del linguaggio moderno è in gran parte un meccanismo per il risparmio di energia; esso risparmia l’energia mentale più di quel che dovrebbe. Si usano le frasi scientifiche come ruote scientifiche e come stantuffi per rendere più rapido e facile il cammino delle comodità”.
La provocazione del grande Chesterton risuona, dopo tanti decenni, sempre più vera. L’auspicio è che ci sia qualcuno in grado di coglierla, lungo le sponde del Tamigi, ma soprattutto lungo quelle del Tevere.