Che sia stato effettivamente ammazzato dai sicari del regime o sia morto per il cancro che lo affliggeva, per Pablo Neruda le cose non cambiano: in un ospedale di Santiago del Cile, il 23 settembre del 1973, spirò all’età di 69 anni, 12 giorni dopo il golpe del generale Pinochet ai danni del legittimo governo socialista di Salvador Allende. E probabilmente – se l’autopsia della salma appena riesumata del poeta Premio Nobel dimostrerà, come sostiene da sempre il suo ex autista e collaboratore Manuel Araya, che non sia deceduto per cause naturali – non molto cambierà nella Storia, che semplicemente vedrà la lista delle vittime delle dittature totalitarie che hanno piagato il mondo nel ‘900 allungarsi di una tacca, alla voce “Neruda”. Ma adesso che, dopo 40 anni, i periti sono al lavoro sui resti di Neruda, l’unica cosa ragionevole da fare è essere pronti, una volta resi pubblici i risultati della tardiva autopsia, all’emergere di una verità. Qualsiasi essa sia. Abbiamo chiesto un commento al caso Neruda ad Andrea Nicastro, corrispondente del Corriere della Sera di stanza a Madrid.



Da quando esiste il sospetto che Pablo Neruda possa essere stato fatto assassinare dal generale Pinochet?
I primi a ipotizzare, subito dopo la morte di Neruda, che il referto ufficiale dell’autopsia eseguita sotto il regime di Pinochet – in base al quale sarebbe morto per le metastasi del tumore alla prostata – fosse fittizio, furono i suoi più stretti collaboratori. In particolar modo il suo autista, Araya, che era anche un attivista comunista e grande amico del poeta, ha sempre sostenuto questa tesi con fermezza e ha ricostruito con molta chiarezza e coerenza i fatti che successero.



Era davvero un personaggio così influente da “meritare” di essere ucciso?
Dopotutto era noto in tutto il mondo per le sue battaglie civili e per la sua straordinaria poesia, e aveva appena ricevuto il Nobel. Inoltre era un uomo popolare ed estremamente schierato a sinistra e tutte queste caratteristiche facevano di lui una spina nel fianco di Pinochet.

Dunque il regime lo temeva, è così?
Sì: a riprova di questo c’è anche il fatto che, dopo la sua morte, il Cile scese in piazza per la prima volta e manifestò in massa contro la dittatura. È chiaro che con lui vivo, il regime, anche a livello internazionale, sarebbe stato accettato in modo meno accondiscendente.



Quindi che possa essere stato eliminato non è così improbabile.
Il regime militare, instauratosi, confermò con i fatti di non aver nessun problema ad eliminare fisicamente gli oppositori, come nel caso dei desaparecidos e della persecuzione dei movimenti giovanili di sinistra. Il fatto dunque che Pinochet possa aver ordinato questa morte non dovrebbe stupire di fatto nessuno. Poi che sia vero o no starà all’autopsia dimostrarlo. 

Allora nei resti del poeta si potrebbero trovare le tracce del veleno che gli sarebbe stato iniettato?

C’è un precedente del fatto che non sia insensato riesumare un corpo dopo così tanti anni: come ha confermato l’autopsia recentemente eseguita sul suo corpo, si è scoperto che l’ex presidente cileno, Eduardo Frei Montalva, fu fatto uccidere con un’iniezione letale da Pinochet nell’82 nello stesso ospedale in cui morì Neruda.

 

Perché si sono decisi solo ora a fare l’autopsia a Neruda? Il regime di Pinochet è fuori gioco da anni.
La stessa riesumazione di Allende è avvenuta solo un paio di anni fa, quando ormai il clima politico lo consentiva. La magistratura, sia nel caso dell’ex presidente marxista che in quello di Neruda, sembrerebbe però essersi messa in movimento per riaprire il caso con una certa calma… ma più passa il tempo, più è possibile che gli eventuali responsabili non potranno essere puniti per ragioni anagrafiche, e dal punto di vista legale è ormai troppo tardi.

 
Com’è stata accolta, in Cile, la notizia del nulla osta a procedere con l’autopsia a Neruda?
Faccio un solo esempio: A Madrid ho parlato con lo scrittore Luis Sepúlveda, di origini cilene, che all’epoca del golpe del ’73 era un giovane comunista della guardia di Allende. Mi ha detto di non aver ragioni particolari per credere alla versione dell’omicidio, però non ne ha neppure per escluderlo. Dal suo punto di vista, la possibilità di sapere è preziosa e non va tralasciata, non per cercare vendetta, perché ormai la realtà politica stessa ha condannato gli anni della dittatura, ma per far sapere fino a che punto si può spingere un regime quando si scatena la violenza.