«Non conta quanti malati guarisci» diceva Madre Teresa di Calcutta «ma la testimonianza che dai: vedono che c’è qualcuno che si prende cura di loro ed è questo che conta». Abbiamo tutti bisogno di testimoni e di testimonianze per sostenere la nostra speranza. Una di queste è quella che offre Antonio Socci nei due libri che ha scritto sulla vicenda che ha coinvolto la figlia Caterina raccontata nel primo libro omonimo e ora, di nuovo, nel secondo Lettera a mia figlia (Rizzoli, 2013). La sua esperienza è stata di conforto e aiuto per molti come raccontano le numerose lettere che gli sono pervenute. Eccone una tra le tante: «Con il tuo primo libro ho capito che anche gli eventi dolorosi hanno senso, fanno parte di un disegno divino non contro l’uomo, ma per il riscatto dell’uomo stesso, che l’amore può vincere il dolore, che come Cristo si è fatto inchiodare sulla croce per amore nostro e per salvarci, così noi dobbiamo avere la forza e il coraggio di portare la nostra croce, con la fede e la speranza che tutto non sarà vano».



La vita è come un mare da attraversare. Già Platone usava questa immagine nel Fedone e spiegava che il mare va attraversato come su una zattera. Nel Commento al vangelo di Giovanni Sant’Agostino spiega che «nessuno può attraversare il mare di questa vita se non è trasportato dalla croce di Cristo». E ancora risponde a chi cerca la strada e la via: «Ascolta il Signore […]. Ti dice: “Io sono la via […]. Non ti è detto: sforzati di cercare la via per giungere alla verità e alla vita […]. La via stessa è venuta a te e ti ha scosso dal sonno». 



Perse le sicurezze umane, i suoi progetti e i suoi tempi, «come gli antichi pellegrini», Socci si è messo in «cammino. Questa santa insecuritas, questa precarietà è diventata un altro grande passo per la conversione. Ed è un tesoro da conservare gelosamente», perché «fa toccare con mano il sempre nuovo soccorso della grazia». Diceva Madre Teresa di Calcutta: «Il vero amore deve sempre far male. Deve essere doloroso amare qualcuno, doloroso lasciare qualcuno. Potreste dover morire per lui. Quando ci si sposa si rinuncia a ogni cosa per amarsi reciprocamente. La madre che dà la vita a suo figlio soffre molto. Solo allora si ama sinceramente». Da quando il cuore di Caterina si è fermato e poi ha ripreso a battere, «la paura più grande era che il recupero di Caterina si fermasse. E ancora una volta il vero nome dell’amore e della fede era la pazienza. La pazienza è l’abbandono confidente a Lui, ai suoi tempi: il tempo delle nostre conversioni. Come se in quei lunghi giorni e in quelle interminabili notti il Signore volesse plasmare» il cuore di tutti coloro che amavano e stavano con Caterina.



Socci ha cercato e mendicato i volti e le testimonianze di persone che rendessero evidente l’amore di Cristo per noi, così come recita la Didaché (IV, 2): «Cercate ogni giorno il volto dei santi e trovate riposo nei loro discorsi». Vengono raccontate nel libro e si imprimono in maniera commovente e indelebile nella mente del lettore. Su tutte la storia di Chiara Corbella. «C’è una foto di Chiara che da sola demolisce Nietzsche e duecento anni di filosofie anticristiane. È un’immagine che dimostra senza alcun dubbio che Gesù di Nazareth è Dio, che è veramente risorto, è vivo qui fra noi. È […] un’istantanea molto semplice. Il volto di fanciulla di Chiara è in primo piano, con i cappelli raccolti sulla nuca che lasciano la fronte scoperta. Ha un sorriso radioso, tiene in mano il suo violino e porta una benda bianca sull’occhio destro. Di certo è un’immagine che colpisce per la bellezza di Chiara e il suo luminosissimo sorriso. Sembra un inno alla vita, alla gioia, alla giovinezza» (Socci). Chiara portava la benda perché stava perdendo l’occhio, aveva metastasi ovunque. La foto è stata scattata a Medjugorie, quando Chiara sapeva di avere poche settimane da vivere. Aveva ventotto anni, da poco sposata e aveva un figlio di un anno. Aveva perduto due figli poco dopo la nascita. Durante le prime due gravidanze erano state diagnosticate ai figli gravi malformazioni che non avrebbero permesso la loro sopravvivenza. Chiara ha voluto dare alla luce i figli, farli battezzare e abbracciarli mentre andavano in Cielo. «Siamo nati e non moriremo mai più» era solita dire.

Altri compagni di viaggio per Socci sono stati i fratelli Figini con le rispettive famiglie, da cui è nata l’esperienza di Cometa, con la scuola di formazione professionale Oliver Twist che offre l’opportunità di fare un percorso a «ragazzi che il normale sistema scolastico perdeva per strada», con un’associazione sportiva, con la Contrada degli artigiani, «cooperativa di produzione e lavoro costruita nel 2008 fra artigiani e ragazzi» e soprattutto con tanti amici e volontari che collaborano a queste opere di bellezza. Con gli amici di Cometa Socci è stato a Lourdes per pregare la Madonna.

Anche la memoria è fondamentale nel cammino della fede, la memoria di chi nella vita ti ha fatto incontrare il Cristo vivente. Don Andrea, il padrino di battesimo di Caterina, è morto di infarto pochi anni fa, a soli cinquantacinque anni, consumato letteralmente dalla missione e dall’amore concreto per l’uomo e per Cristo. Il 10 dicembre 2011 il vescovo della diocesi di Carabayllo ha reso noto che nel 2013 sarebbe stata aperta la causa di beatificazione.

In questo cammino di fede la speranza si accresce e diventa chiaro che Dio «non è venuto a spiegare la sofferenza. È venuto a riempirla della Sua presenza» (P. Claudel). Anche se «sembra che da nessuna parte, in questo crollo del mondo moderno, si trovi un segno vero di rinascita e speranza», invece «un mondo nuovo sta iniziando silenziosamente e nessuno se ne accorge». Quel mondo è testimoniato dai luoghi e dai volti dove un ragazzo o un adulto può incontrare Cristo, «l’unico veramente affascinante della storia, […] l’unico amico fedele, il solo che ha pietà di noi uomini». Che cosa sta in piedi nella vita? Tutto è spazzato via dal tempo e dalla morte. Tutto senza eccezioni: la giovinezza, la bellezza, l’amicizia, le persone care. «Stat crux dum volvitur orbis», la croce rimane salda, mentre tutto passa. Come scriveva don Divo Barsotti: «Nulla che sia fatto da noi, che si compia quaggiù in terra, è definitivo. […] Viviamo soltanto per imparare a desiderare la vita», la vera vita, l’eternità. 

«Caterina sta nuotando verso riva. È una traversata durissima, ma un grande calore umano la sostiene: quella compagnia che è il volto e la carezza del Nazareno nel mondo. C’è Qualcuno che è più forte di ogni tsunami» (Socci). Memori che Cristo ha vinto il male e la morte e ha riempito della Sua presenza il deserto del mondo, uniamoci tutti con Socci nella preghiera per Caterina.