L’ultimo lavoro di Sergio Luzzatto “Partigia: una storia della resistenza” ha un merito innegabile: quello di dedicare trecento pagine alla morte di due ragazzi sfortunati, incappati in una Storia immensa quanto mostruosa e omicida. Moltiplichiamo questi due drammi per decine e decine di milioni e avremo un quadro vertiginoso quanto approssimativo di quella che fu la Seconda guerra mondiale. La tragedia di quei due ragazzi ebbe un testimone d’eccezione: quel Primo Levi che, scampato alla Shoah, sarebbe divenuto uno dei principali testimoni del suo tempo.
Ora, ciò che sorprende, paradossalmente, non è tanto l’opera quanto i commenti che sono stati fatti: a parte quelli laici e indagatori, come per Paolo Mieli, sorprende l’imbarazzo e il pudore di altri commentatori, quasi restii ad ammettere che i partigiani potessero uccidere senza dare troppe garanzie di difesa ai condannati. Ammettere che, nella Resistenza, vi furono numerosi episodi di brigantaggio e di brutalità sembra scatenare una reazione da cane di Pavlov: squilla la campanellina della lesa Resistenza e parte la difesa dei valori dell’antifascismo. Paradossalmente, questi giornalisti e studiosi sono disposti ad ammettere l’esistenza di crimini e menzogne nella storia della Resistenza ma si affannano a negare, celare, ridurre i casi particolari che vengono messi loro davanti, per non deturpare il mito. Sarebbe ora di ammettere che si tratta di sacerdoti di una religione laica, farisei che – parafrasando il vangelo di Matteo – chiudono le porte della Storia agli uomini; “perché così voi non entrate e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci” (Mt 23,13).
Il paradosso della storiografia dominante è quello di aver distrutto la Resistenza come elemento fondante della repubblica e basterà un Sillabo di pochi punti per comprendere la perversità di una occupazione militare della Storia moderna che dura da settant’anni.
1. La Resistenza coincide con l’antifascismo. Falso. La Resistenza è, fin dalla sera dell’8 settembre 1943, quando il tenente Rosso si fa saltare in aria a Monterosi insieme a un colonna corazzata tedesca, volontà di non cedere le armi a un alleato che, negli anni di guerra, veniva sopportato sempre meno e nei confronti del quale era stata nutrita per un secolo un’inimicizia atavica, dalla battaglia di Legnano fino a quella del Piave. Poiché i fascisti erano alleati dei tedeschi, i partigiani combatterono anche contro di essi ma è bene ricordare che in un mese di combattimenti, dall’8 settembre a tutto ottobre 1943, 20mila soldati italiani caddero in combattimento. Fateci caso il prossimo 25 aprile: la parola d’ordine sarà quella dell’antifascismo, non della lotta contro lo straniero occupante che depredava il nostro paese, quasi che i fascisti fossero il bersaglio principale di quella guerra e non quello più facile da colpire, come in effetti era.
2. Se la Resistenza coincide con l’antifascismo significa che ad essa dev’essere dato un carattere politico. Ma la Resistenza era amor di patria al più alto livello. Mi chiedo quanti italiani conoscono l’esistenza dei partigiani autonomi, fra cui spicca la figura di Enrico Martini, “Mauri”, il comandante sotto le cui bandiere si arruolò Giuseppe Fenoglio. Cosa vuol dire “autonomi”? Senza partito, fedeli alla monarchia e allo Stato, fedeli all’Italia. E il bello è che questi reparti, comandati da militari esperti, spesso appartenenti a truppe alpine, erano le più organizzate e combattive e, insieme, quelle che avevano il migliore rapporto con la popolazione. Notevolissima anche l’efficienza e l’aggressività delle formazioni di Giustizia e Libertà, improntate a disciplina militare e amor di patria degni del miglior Risorgimento. Le formazioni garibaldine, più numerose, non furono mai la maggioranza del movimento partigiano, specialmente nei mesi più duri e difficili ed ebbero spesso notevoli problemi organizzativi per la smania dei comandanti di gonfiare gli effettivi a scapito dell’efficienza e della sostenibilità logistica.
3. Ed è così che la Storia ufficiale della Resistenza ha inteso sostituire l’amore per il proprio Paese con la religione dell’antifascismo, falsa quanto quella nell’anticomunismo intesto come valore. Se si ama la vita non si può non essere antifascisti e anticomunisti e tanto dovrebbe bastare.
4. Ma il trionfo più notevole della storiografia resistenziale che nega i crimini dei partigiani e si smarrisce quando qualcuno di essi viene svelato in modo incontrovertibile, è l’aver convinto i politici di centrodestra che la loro storia è vera. Così assistiamo al disgustoso spettacolo di un centrodestra che rinnega quella Resistenza che ha visto eroi come Martini, Sogno, Li Gobbi, Montezemolo, Gastaldi e tanti altri.
5. Esaltando il valore politico, questi farisei hanno sminuito il valore militare della Resistenza che non è mai stato seriamente studiato. In questo modo gli italiani si sono convinti che i partigiani non abbiano fatto granché: un gran bel risultato per gli antifascisti in servizio permanente effettivo!
Questo il quadro della situazione: ed è da questa assenza di una radice comune che deriva il disordine attuale e l’incapacità di costituire un governo, di eleggere un Presidente della Repubblica, di intraprendere una qualsivoglia riforma condivisa: perché l’unico grande momento di riscatto del nostro popolo è stato dissipato, forse per sempre.
Concludo con un accenno a una medaglia d’oro della Resistenza, un povero ragazzo di nome Gastone Rossi. La motivazione della decorazione si trova sul sito del Quirinale e parla di una morte avvenuta durante un assalto a una postazione tedesca. Sono aperte le ricerche della verità e chissà se un Luzzatto vorrà dedicarvi la sua scienza e la sua capacità.