Da ricerche recenti pare che l’80 per cento della gente comune fatichi a comprendere il senso di testi scritti come “[…] il comunicato di uno sciopero, il programma di un partito, il regolamento del condominio, le modifiche contrattuali di una banca […]” (Fulvio Cammarano, I nuovi analfabeti, “Corriere di Bologna”, 4 aprile, p. 1; inserto del Corriere della Sera). È vero che tali documenti sono oscuri o vaghi per tradizione, tanto che è lecito chiedersi quale senso abbiano colto coloro che fan parte del 20 per cento di lettori “promossi”. Ancor più cruciale è la domanda sugli autori: avranno chiaro il senso del testo da loro prodotto? Non pochi hanno in mente una cosa e ne scrivono un’altra; se poi i lettori capiscono il contrario di quel che c’è scritto, i conti tornano. Del resto, un’opera letteraria può cambiare di senso a seconda di chi legge e interpreta il testo. Ma il “comunicato di uno sciopero” non è un’opera letteraria; è anzi un documento che di solito è scritto male da chi non sa scrivere. Ed è letto con fastidio da chi non ha imparato a leggere.
I dati che il Corriere ha citato potrebbero essere un risultato, ampiamente prevedibile, di anni e anni impiegati a svilire i contenuti delle materie scolastiche, a mortificare gli insegnanti, a giustificare la pigrizia mentale di famiglie e studenti. Così, il livello culturale generale si è abbassato “drammaticamente”, come dicono gli anglofili.
Secondo Cammarano, peraltro, “oggi l’analfabeta medio è il neo-diplomato tutto social network”. Egli intravede in questo fatto la resa della scuola “sopraffatta dalla civiltà del web” e propone che la scuola esiga – pena la bocciatura – che ogni studente impari a “leggere e riassumere per iscritto un testo di proporzionata difficoltà”. A ben vedere, la capacità di scrivere, sia pure semplici riassunti, è caduta ancor più in crisi della capacità di leggere e comprendere. Bisognerebbe poi soffermarsi sul significato di “leggere” e “riassumere”. Altro è afferrare, di un testo, il contenuto e riportarlo in sintesi. Altro è cogliere il punto di vista scelto dall’autore, esponendo il contenuto del testo, senza assumerlo acriticamente (impresa che, oggi, sfugge anche a non pochi scholars dell’accademia nostrana).
Se alla scuola si può rimproverare qualcosa (molto più va rimproverato all’università!) è proprio la rinuncia ad addestrare gli allievi a un atteggiamento critico. La redazione dei cosiddetti “saggi brevi” alle superiori si risolve, per lo più, in una banale ricopiatura da materiale non sempre affidabile. A scuola, molti insegnanti si accontentano di vedere una bella ricopiatura (che dimostra, per lo meno, l’avvenuta lettura di qualche riga da parte degli allievi).
La calibratura delle fonti è per lo più ignorata. Eppure, essa, costringendo a ragionare, è il procedimento fondamentale per la costruzione di un saggio, breve o lungo che sia. Così disarmati, gli studenti non comprendono la storicità del mondo reale: sfugge loro totalmente la relatività dei dati empirici e il bisogno di verificare costantemente i punti di vista sviluppati nell’esperienza. Sono cioè esposti alla manipolazione. Prima di “educare alla cittadinanza” bisognerebbe forse educare alla capacità di giudicare. Ma quest’ultima oggi non è ben vista: chi giudica potrebbe sviluppare un punto di vista anche originale e così sottrarsi al pensiero dominante (è lecito ritenere che si sia individui prima di essere cittadini).
Nel declino della capacità di leggere vi è forse dell’altro. Oggi la lettura non è più la via necessaria per apprendere i contenuti che oggi sono considerati utili. Tali informazioni passano ormai per l’immagine o per il filmato. La parola scritta è legata a una forma di comunicazione che si ritiene datata. Siamo nel terzo millennio, dicono gli agit-prop del “nuovo che avanza”, bisogna adattarsi allo Zeitgeist. Anche la scrittura è vista in modo diverso dal passato: dai segni materiali – fatti con la biro o altro – si passa ai segni digitali. È una bella comodità, che tuttavia abolisce l’esperienza psico-fisica della scrittura e, forse, può contribuire a rendere più difficoltoso il processo di lettura.
Si dice che l’uso dei messaggi brevi via telefono cellulare abbia riportato in auge la scrittura presso i giovani. A ben vedere, non è del tutto così: piuttosto, si è diffusa una tecnica basata sulla selezione e copiatura di immagini dei segni grafici. La scrittura diventa un sottosettore della grafica digitale.
La lettura esige uno sforzo astrattivo a più livelli – impresa oggi inconcepibile. Chi legge deve sostare, concentrarsi, individuare le parole e collegare le parole in frasi, rileggere, riflettere per passare dalle parole al significato, che non si vede, non si annusa, non si ode, ma si coglie nell’esperienza della natura semiotica del testo, là dove una sequenza di segni grafici rimanda ad altro – a un “altro” che, inoltre, non è isomorfo al piano grafico, dato che le parole si manifestano nella successione spazio-temporale, mentre il significato è organizzato su più di una dimensione e si caratterizza per collegamenti imprevedibili tra le sue componenti.
L’impresa della lettura fuoriesce dai criteri di misura del mondo stabiliti dalla civiltà “pop” diffusa nel mondo occidentale. In un articolo uscito sul Foglio del 12 aprile, Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro citano alcune riflessioni di Lucio Spaziante, che meritano di essere qui riprese: “La cultura pop si contraddistingue come una cultura del fare piuttosto che del sapere, dove per lasciare spazio alla spontaneità si preferisce non sapere, dove la pratica conta più della teoria” (Sociosemiotica del pop. Identità, testi e pratiche musicali, Carocci, Roma 2007).
La lettura è vissuta come un momento “teorico”, non “pratico” perché non esige attività fisica e in essa non vi è spontaneità, ma riflessione, controllo, ordine, razionalità. Spaziante continua: “Chi ascolta rock sa che in quel mondo è per la prima volta padrone di un territorio. Non ci sono professori, non ci sono migliaia di libri da leggere, la cultura e la politica da capire”. Del resto, “il pop riesce a sfondare, in Italia come altrove, nonostante la barriera linguistica dell’inglese. Il motivo risiede probabilmente nel fatto che il senso della parola è l’ultima cosa che si coglie”.
Cadute le differenze basate sul giudizio estetico, il pop ha conquistato ogni spazio dell’esperienza quotidiana. Un documento scritto è “vissuto” come il testo di una canzone. Immersi in questo – tutto sommato piacevole – brodino di coltura, la mente non è più abituata a eseguire procedimenti che richiedono forza astrattiva. La civiltà dell’immagine ha cambiato la percezione della realtà; le cose si sono ridotte all’immagine della loro manifestazione di superficie. La crisi della lettura è un aspetto della crisi della ragione.