Itaca e La casa di Matriona hanno ripubblicato un testo del 1978 di Václav Havel, “Il potere dei senza potere”, di cui per gentile concessione degli editori proponiamo un brano.
Il commento di Giovanna Parravicini.

Una scommessa sull’«io» come reale protagonista della storia e della politica parrebbe a moltissimi anche oggi (e non solo in un paese satellite dell’Urss nei plumbei anni 70) un gesto di pura follia: e invece, paradossalmente, è proprio la storia – non solo quella passata ma anche quella più recente, basti pensare alla vita della Chiesa e alle ultime vicende politiche italiane – a confermarci il realismo di questa visione. Per non parlare della Russia, alla luce dei movimenti che da poco più di un anno hanno cominciato a percorrerne la società, e che in qualche modo costituiscono il riaffiorare, sotto nuove forme, di un flusso sotterraneo, nascosto e dimenticato per anni nelle corse al capitalismo selvaggio, alla rincorsa dell’Occidente. Lo stesso flusso di cui si era fatto portatore, negli anni 60-70, il dissenso in Urss e nei Paesi dell’Est Europa. In maniera magari inconsapevole o solo parzialmente consapevole in molti suoi partecipanti, riemerge in superficie la natura più profonda e irriducibile dell’uomo, il «miracolo dell’io», per usare un’altra espressione di Vaclav Havel.



È quanto ripropone oggi l’antologia di scritti del drammaturgo, filosofo e infine presidente della Repubblica Ceca, pubblicata in queste settimane dalla Casa di Matriona (editrice di Russia Cristiana) e da Itaca, che prende il nome dal suo saggio più famoso: non un ritratto dei totalitarismi del XX secolo, ma una chiave per comprendere e rinnovare la nostra società malata di scetticismo, più profondamente ancora che di crisi.



Più di trent’anni fa Havel sottolineava l’aspetto forse più universale e moderno dell’ideologia, la tentazione attraverso cui punta a soffocare la natura dell’uomo, a stravolgerne l’esperienza originaria riducendola e ideologia, preservando l’individuo dal «rischio» di giocarsi in prima persona, offrendogli sicurezze a buon mercato ma rendendolo in tal modo connivente, non solo vittima ma anche complice dei suoi crimini.

Che cosa può rompere questo «mondo dell’apparenza» costruito dall’ideologia, in cui tutti siamo coinvolti e ci assumiamo in qualche modo un ruolo e un compito?



Havel sceglie un personaggio emblematico, non un intellettuale ma «uno qualunque», un erbivendolo che un bel giorno decide di non esporre più, nella vetrina del negozio che gestisce, il cartello con lo slogan «Proletari di tutto il mondo unitevi!» uno dei tanti che compongono il panorama del mondo dell’apparenza. Lui, come tutti, ha esposto il cartello per anni: al di là del significato dello slogan, che gli era probabilmente del tutto estraneo, manifestava la sua fedeltà al mondo dell’apparenza, si adattava alle circostanze. Così facendo poneva la sua pietra per l’edificazione di quel mondo, egli stesso ne diventava cittadino a pieno titolo nell’unico modo possibile: mentendo.

Il giorno in cui decide di non esporre più il cartello con lo slogan, il nostro personaggio non compie un gesto da poco, come potrebbe sembrare esteriormente. La sua insubordinazione è un tentativo di vivere nella verità: togliendo il suo mattone dall’edificio dell’apparenza, della menzogna, ne rende instabili le strutture, «la nega come principio e la minaccia nella sua totalità». Perciò, afferma Havel, la vita nella verità «non ha solo una dimensione esistenziale (restituisce l’uomo a se stesso), noetica (rivela la realtà com’è), e morale (è un esempio); ha anche una evidente dimensione politica».

Tuttavia – e questo mi sembra il punto fondamentale – tale lotta tra la menzogna e la verità (Havel richiama esplicitamente il testo di Solženicyn Vivere senza menzogna, uscito nel 1974 in seguito all’arresto dell’autore) non si svolge a livello etico, bensì ontologico, non nasce da una posizione «titanica» dell’uomo ma trova il suo punto di genesi e il suo supporto nella struttura stessa dell’essere umano. Esiste infatti una «esistenza autentica», una «sfera segreta delle reali intenzioni della vita, della sua “segreta apertura” alla verità, che costituisce «l’invisibile, onnipresente alleato» del «peculiare, esplosivo e incalcolabile potere politico della “vita nella verità”». 

Insomma, la vita nella verità ha dalla sua la vita, la natura umana, il «miracolo dell’io»: per questo, nel momento in cui viene alla luce e si manifesta (in un gesto come quello del nostro erbivendolo) lo fa con un’enorme forza dirompente. Il sistema viene sgretolato dalle sue fondamenta perché ogni minimo gesto di verità «lavora» nell’io facendolo riemergere dalle incrostazioni con cui l’ideologia aveva tentato di alienarlo: così l’uomo, per usare un’altra espressione di Havel, «si riappropria dell’espressione del suo desiderio». Dunque, l’unica reale «opposizione» è questa «vita nella verità». È questo il potere dei senza potere.