L’esperienza drammatica e luminosa del filosofo e martire Pavel Florenskij è certamente una tra le più importanti eredità del secolo scorso. Il «Leonardo da Vinci» russo, infatti, con la sua vicenda intellettuale ed esistenziale, vissuta fino in fondo, fino al dono di sé costituisce una radicale messa in questione del soggetto del sapere moderno. Per il filosofo, censure, finzioni, schematismi franano, crollano a partire dalla vita, da ciò che c’è, da ciò che è presente e – continuamente generato – interroga il soggetto. 



Pensare di collocarsi, ingenuamente, in una comodità monarchica di controllo/dominio sulla realtà o assicurarsi all’interno di una ragione come misura: sono posizioni umane che non reggono a contatto con l’urto della vita. La vita è Mistero, non riducibile al calcolo, perché «tesi e antitesi costituiscono insieme l’espressione della verità; in altre parole la verità è antinomica e non può non essere tale» (P. A. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, a c. di  E. Zolla, Rusconi, Milano, 1974, p. 195). 



All’inizio del sesto capitolo della stessa monumentale opera, disegna personalmente un’immagine: il murex ferreus. Si tratta di un arnese militare usato dai Romani, per contrastare la cavalleria nemica, che comunque lanciato pone un rostro pronto a ferire. La vita, sembra dire il Nostro, colpisce con la sua contraddittorietà, come un rostro, il tentativo del raziocinio di armonizzare penosamente, stancamente la ferita, la scissione originaria. Cosciente di questa impossibilità, egli riannoda il suo percorso ad una tradizione di studi ben diversa: Filone, Massimo il Confessore, Dionigi, Palamas, Soloviev. Il filo rosso che unisce questi autori gli consente di guardare alla vita in tutta la sua larghezza: fino a Chi la genera. 



La vita, in tale ottica, è un respiro continuamente dato che parla alla ragione, superando il punto di vista e surclassando gli schemi concettuali. Occorre perciò una ragione che percepisca la vibrazione che è dentro la realtà, guardando al suo cuore. Una ragione vivente che pulsa energeticamente e sia aperta al cambiamento. Tale ragione attaccata alla domanda insopprimibile di salvezza e di bene dell’uomo/di ogni uomo risulta in grado di ricostruire gli snodi storici, filosofici che hanno debilitato il soggetto nel modo di pensare/pensarsi. 

La critica di Florenskij diventa lucida e a tratti implacabile. La posta in gioco, infatti, non è legata tanto ad un’importante disputa serrata riguardo a principi significativi o ad una battaglia culturale di grande importanza, ma al destino stesso dell’uomo, alla sua felicità storica ed eterna. Per ciò stesso, egli individua un vulnus portato all’umano nella visione rinascimentale della vita. L’uomo rinascimentale, infatti, ha sostituito il senso della realtà con formulazioni ambiziose, facendo venire meno la coscienza di una strutturale sproporzione rispetto alla vita: il mondo vero ha così iniziato a diventare favola. L’uomo ha cominciato a guardare alla vita come dal buco della serratura, collocandosi all’esterno della realtà. 

Altri snodi decisivi nella riduzione della ragione, nell’amputazione della realtà sono stati il razionalismo, l’illuminismo, il kantismo, il positivismo. Il tribunale della ragione kantiano, in primis, secondo il filosofo, riduce la vita a processo, cercando di raggrumarla in punti conoscibili. Per quanto riguarda il positivismo, Florenskij  prende, tra l’altro, in considerazione l’opera di Zola. Il tentativo dello scrittore francese di guardare alla realtà in maniera oggettiva, scientifica ha dato luogo a dei personaggi non viventi. Ombre senza vita e senza carne: puri derivati di meccanismi sociali. Le descrizioni precise di Zola non costituiscono un quadro o una fotografia in presa diretta, ma piuttosto una copertura al grido di razionalità del soggetto, non saziabile mai da una scienza o un potere, sia pure tecnicamente buoni. 

Il filosofo smaschera, inoltre, l’avanzare dell’ideologia costruttivista, frutto dell’ingresso del falso nella realtà, nell’opera di Černyševskij. Questi inventa un tipo umano astratto: il rivoluzionario. Esso non paragona i fatti della vita al proprio cuore, ma semplicemente li supera, passando oltre e asservendoli al disegno della propria immaginazione, destituita di fondamento. 

Di fronte ad una crisi della ragione così grave, in cui il raziocinio si spezzetta sempre più non basta, non serve neanche una ragione ecclesiastica. Una ragione di tale natura, magari insediata in un apparato dottrinale corretto, obbediente alle norme morali, spiritualmente attenta si rivela come anchilosata e finisce per ridurre Dio ad una sostanza, aderendo così ad un mero monismo logico. Essa diventa, inoltre, causa di ateismo, ponendo una frattura tra Dio e la vita e dando luogo ad una scissione tra ragione e bisogno dell’uomo. Tale ragione è perciò nemica della verità. 

Solo la provocazione della vita che tocca in profondità il centro della ragione, scuotendolo, può generare un’ adesione autentica al Sì che precede il sì dell’uomo. Un’accoglienza del procedere del Mistero nel tempo, nel procedere del proprio tempo, cioè un sì alla propria vita: tutta. Siamo così al “fiorire della ragione e al suo emanare profumo” (Ragione e Dialettica, in N. Valentini, P.A. Florenskij, Morcelliana, Brescia, 2004, p. 101) , cioè ad una ragione nuova, trasformata − che istituita/rinnovata da un’Alterità ineffabile − vive nella forma della testimonianza

Tale ragione integrale nella vita di Florenskij fu una pratica commovente, fino alla fine. Il filosofo, ucciso in odium fidei, si autoaccusò − pur innocente − di cospirazione, per la salvezza di altri. Il suo modo di rapportarsi a tutto (la vita, la morte, l’inganno, la stupidità del regime comunista, il nemico) mette in questione oggi il nostro presuntuoso già saputo. 

 


Vincenzo Rizzo è autore de “Vita e razionalità in Pavel A. Florenskij” (Jaca Book 2012). Il volume sarà presentato venerdì 3 maggio alle ore 16.30 presso ICLeS, Via Settembrini, 17 a Milano. Interverranno Lubomir Žák (Pontificia Università Lateranense) e Gianfranco Dalmasso (Università di Bergamo).