Inventata da Sigmund Freud alla fine dell’Ottocento, la psicoanalisi afferma l’influenza dell’inconscio sulla vita degli esseri umani. Non si può tuttavia affermare con leggerezza che, per questo, essa si riduca, nei confronti dell’uomo, a quell’atteggiamento di “sospetto” che molti hanno ritenuto, forse interpretando liberamente una famosa intuizione di Paul Ricoeur, essa condivida con Marx e con Nietzsche. 



La pensa così Mario Binasco, psicoanalista di scuola lacaniana, docente di Psicologia e Psicopatologia dei legami familiari al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia e tra i fondatori dell’Istituto per la clinica dei legami sociali (ICLeS).

Il dato più interessante credo però sia contenuto nel suo recente volume, laddove si legge, tra l’altro, che una delle verità portate alla luce dalla psicoanalisi è il fatto che «il sesso unisce gli animali, ma non gli uomini»: La differenza umana. L’interesse teologico della psicoanalisi, Cantagalli, Siena 2013. 



Il volume è molto complesso, perché in certe parti sembra concepito per addetti ai lavori, vale a dire con la finalità di aiutare gli operatori di cure psicologiche (o anche semplicemente di relazioni d’aiuto) a far bene il loro lavoro tenendo conto di tutti fattori in gioco. Non sono esperto del settore, ma credo che Mario Binasco abbia in mente una relazione d’aiuto o di cura aliena da qualsiasi tentazione tecnicista: essa vuole guardare all’umano in tutti i suoi fattori, nella consapevolezza che il problema dell’uomo (per dirla con Martin Buber) non sempre è risolvibile con un farmaco che “curi” (o piuttosto modifichi) uno solo degli immaginari compartimenti stagni dei quali si presume che l’essere umano sia la sommatoria. No, l’uomo, come diceva sant’Agostino, è una grande questione e come tale merita di essere trattato. Anche dagli “psico”-operatori; e una cura soggettiva che smarrisse questa consapevolezza sarebbe destinata al fallimento. Il desiderio, infatti, secondo Binasco, «non è del tutto opaco all’analisi» (p. 23), la quale, attraverso il suo metodo e i suoi dispositivi pratici, riscopre «proprio ciò che della realtà umana è stato più difficile includere nel discorso scientifico moderno, la soggettività» (p. 17). 



E allora si capisce in che senso, secondo l’autore, il sesso unisce gli animali e non gli uomini: c’è, nell’umano, un orizzonte di simbolizzazione e di significato che trascende la materialità con la quale però ci permette di confrontarci, e che obbliga, volenti o nolenti, a considerare la sessualità come un’azione che diventa violenza se non è il risultato dei conti fatti col sesso all’interno di quell’orizzonte. 

Checché ne dica il bigottismo fintamente moderno dei cantori dell’ideologia del gender, i quali non possono non finire per considerare l’attività sessuale come un qualcosa di non umano, paradossalmente proprio per un eccesso di arbitrio “umano”: sostenere, infatti, (come fa la “gender theory”) una non dipendenza dell’elaborazione dell’identità sessuale dal possesso reale di determinati organi sessuali significa sostenere che il corpo non è più un riferimento e una “pietra d’inciampo” reale da cui dipende la complessa “sessuazione” (termine lacaniano usato dall’autore) degli individui, e si può pensare di trattarlo in modo del tutto arbitrario come un mero oggetto di consumo.

Si tratta di un materialismo finto e contraddittorio, portato avanti con le armi mediatiche di una posizione culturale (il relativismo) che si propone come tollerante, ma la cui origine è tutt’altro che “di larghe vedute”, in quanto, come quella dello stesso materialismo, risiede nella pretesa di certa ragione moderna di stabilire cosa è reale e cosa non lo è. L’odierno approccio relativista (di sapore decisamente sartriano) alle principali questioni della vita, infatti, si pone non in rottura, ma in continuità con il riduzionismo prima materialista (è reale solo la materia) e poi idealista (è reale solo il pensiero), in quanto consiste nella scissione del legame tra la libertà e la realtà: la libertà intesa non come risposta dell’uomo a una chiamata proveniente dal reale, ma come iniziativa esclusiva dell’uomo che decide cosa fare senza tenere conto della realtà, dal momento che la realtà viene considerata quell’altro da me che, in quanto altro, impedisce la mia libertà. Nati entrambi da un’idea di libertà ridotta ad arbitrio assoluto, materialismo ed idealismo hanno rappresentato il presupposto affinché quel riduzionismo potesse dar vita all’ideologia del gender, la quale, non a caso, condivide con materialismo e idealismo l’incapacità di tenere conto della vera natura del corpo umano vivente.

Una libertà assoluta non farebbe problema, se non fosse che l’uomo scopre se stesso solo nel tu, cioè nell’altro da sé, in un rapporto che non significa annullamento della propria personalità nell’altro, proprio nella misura in cui l’altro mi costituisce restando altro da me. L’uomo di oggi, invece, confligge con la realtà materializzando i rapporti (non solo sessuali) perché ha paura dell’altro. E, se questo è il motivo per cui si ammala psichicamente, la strada per uscire dalla malattia passa sicuramente attraverso il riconoscimento del fatto che il possesso delle cose e la libertà di agire avvengono in una partecipazione che, in quanto risposta a una chiamata (vocazione), ha dentro un distacco: non solo la filosofia, ma anche la rivelazione cristiana hanno qualcosa di importante da dire alla psicoanalisi.

Se, allora, come recita il sottotitolo del volume, la psicoanalisi ha un interesse teologico, forse è anche vero che la teologia ha un interesse psicoanalitico.