C’è anche il racconto di uno dei protagonisti della battaglia, nel libro Gli eroi di Montecassino. Storia dei polacchi che liberarono l’Italia (176 pagine, 11 euro), scritto, per gli Oscar Storia della Mondadori, dallo storico Luciano Garibaldi, e pubblicato in occasione dell’anniversario della vittoria polacca nella battaglia di Montecassino (18 maggio 1944), che aprì la strada agli Alleati per la liberazione di Roma. È toccato a me realizzare l’intervista all’allora capitano Anton Mosiewicz, oggi cittadino italiano di 99 anni, e residente a Milano con la moglie Fede Bonati, conosciuta e sposata in quegli anni lontani.
Il libro di Luciano Garibaldi non è soltanto la ricostruzione, in chiave giornalistica, di quella storica battaglia, che costò ai polacchi quasi mille morti e oltre 3mila feriti, ma è la storia del 2° Corpo d’Armata inquadrato nell’VIII Armata britannica e impegnato sul fronte italiano: un Corpo formato da 70mila ufficiali e soldati polacchi che erano stati catturati dall’Armata Rossa e trasportati prigionieri in Russia, dopo l’aggressione tedesco-sovietica alla Polonia del settembre 1939. Al loro comando, il generale Wladyslaw Anders, una figura mitica per i militari polacchi, battutosi fin dalla prima giovinezza per liberare la sua patria dall’oppressione straniera.
Per quasi due anni, quei militari avevano subìto ogni sopruso e ogni violenza nei gulag sovietici (22mila loro ufficiali erano stati soppressi con un colpo alla nuca nelle foreste di Katyn), finché, dopo la proditoria aggressione della Germania alla Russia il 22 giugno 1941, avevano ottenuto la possibilità di arruolarsi in una formazione che, unitamente agli inglesi, sarebbe stata impiegata contro i tedeschi.
Trasferiti in Medio Oriente per essere addestrati dagli istruttori britannici, i 70mila volontari (che poi diventeranno più di 100mila grazie all’afflusso continuo di giovani polacchi costretti a combattere nella Wehrmacht e presi prigionieri dagli Alleati) furono inquadrati nel 2° Corpo, affidato al comando del generale Anders. Sbarcati in vari porti dell’Italia meridionale tra la fine del ’43 e gli inizi del ’44, furono subito impegnati contro i i tedeschi in vari combattimenti, fino alla prova decisiva di Montecassino, montagna imprendibile dove i tedeschi si erano asserragliati, con le loro artiglierie pesanti, tra le rovine della storica abbazia, bombardata e distrutta, per un fatale errore tattico, dall’aviazione alleata. I cannoni tedeschi bloccavano da mesi ogni tentativo alleato di avanzata verso Roma lungo la Casilina. Truppe di svariate nazionalità avevano tentato invano di prendete la montagna, sempre respinte, con ingenti perdite. Finché, il 12 maggio, toccò agli uomini di Anders. Che ebbero la meglio issando la bandiera bianco-rossa sulle rovine dell’abbazia, dopo sei giorni di accaniti assalti, il 18 maggio di quel ’44.
Da allora, fu tutta una serie di vittorie: dalla presa di Ancona alla liberazione delle Marche e della Romagna, fino all’entrata in Bologna, all’alba del 21 aprile 1945. Battaglie condotte e vinte, tutte, con l’angoscia nel cuore a causa dagli eventi che insanguinavano la loro patria lontana.
A Varsavia, durante l’insurrezione del luglio ’44 contro i tedeschi, i russi, attestati oltre la Vistola, cioè alle porte della capitale, non solo si erano rifiutati di intervenire in aiuto degli insorti, ma avevano proibito l’atterraggio, oltre le loro linee, degli aerei polacchi giunti dall’Italia con i rifornimenti per gli insorti. Il che aveva causato la morte di molti piloti, rimasti senza carburante e precipitati al suolo. Tutto ciò era stato denunciato duramente dal generale Anders al premier britannico Churchill, che tuttavia non aveva ritenuto di intervenire nei confronti di Stalin. Stesso comportamento era stato tenuto dalla Gran Bretagna nei giorni della scoperta delle fosse di Katyn ad opera dei tedeschi. Nonostante le prove schiaccianti circa la responsabilità sovietica di quel massacro, Churchill aveva finto di credere che l’ecatombe fosse stata opera dei tedeschi. Contrastato duramente, in questo, dal premier polacco in esilio a Londra Wladyslaw Sikorski, da lì a poco misteriosamente precipitato in mare con l’aereo sul quale era in volo, e da allora da molti ritenuto vittima di un attentato voluto dai russi e favorito dagli inglesi.
Il libro di Luciano Garibaldi ricostruisce tutti questi eventi che aiutano a inquadrare il ruolo e la funzione storica dei polacchi nella liberazione dell’Italia. Con capitoli dedicati alle non poche formazioni militari italiane che si batterono, a fianco dei polacchi, per sconfiggere i tedeschi. Tra queste, la 111.a Compagnia dei Pontieri, tra le cui fila combatteva un giovanissimo Mino Pecorelli, e la cosiddetta «banda della Maiella», formata da civili e militari agli ordini del giovane avvocato Ettore Troilo, durissimi combattenti e terrore dei tedeschi.
Un capitolo del libro è dedicato alla ricostruzione degli inevitabili scontri, anche sanguinosi, verificatisi nei mesi del dopoguerra in varie città italiane tra soldati polacchi e partigiani comunisti che sventolavano bandiere rosse con la falce e il martello: un simbolo che non poteva certo piacere a chi aveva subito così tanti soprusi e violenze da parte dei sovietici.
Il volume si conclude con lo scioglimento del 2° Corpo, voluto dagli inglesi e il trasferimento dei superstiti prima a Londra, poi in varie mete in tutto il mondo. Circa 3mila giovani (in gran parte si erano fidanzati con ragazze italiane) rimasero in Italia iscrivendosi in varie università e dando così vita alla comunità polacca in Italia. Mentre più di 4mila riposano nei quattro cimiteri di guerra polacchi a Bologna, Loreto, Casamassima (Bari) e Montecassino, dov’è sepolto, per sua espressa volontà, anche il generale Wladyslaw Anders, e dove campeggia la celebre scritta: «Hanno dato l’anima a Dio, il cuore alla Polonia, il corpo alla terra italiana».