Al professor Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea nell’Università Cattolica di Milano, abbiamo chiesto che eredità lascia Giulio Andreotti e se c’è qualcuno disposto oggi a raccoglierla e farla propria. Ci ha risposto lanciandoci una provocazione: “Il più andreottiano della seconda repubblica è Giorgio Napolitano”.       



Professore, che eredità lascia Andreotti?

Andreotti ha avuto una capacità notevole di saldare il rapporto tra classe politica, Stato e amministrazione pubblica. Anche se può presentare alcuni aspetti discutibili, ciò ha permesso alle istituzioni di funzionare con grande efficacia. Andreotti conosceva la macchina dello Stato e ha saputo orientarla nei momenti difficili. Questa è un’eredità non da poco.



Chi potrebbe raccoglierla?

Credo che oggi ci sia l’esigenza che qualcuno raccolga questa eredità, ma non so se ci sia qualcuno in grado di farlo o intenzionato a farlo.

Chi era veramente Giulio Andreotti?

Andreotti era innanzitutto un uomo delle istituzioni. Oggi non c’è propriamente un partito delle istituzioni. Nella seconda repubblica sono prevalsi altri aspetti: posizioni ideologiche, affermazioni di parte. Direi che nessun partito e nessun leader in particolare si è identificato con le istituzioni. Provocatoriamente si potrebbe dire che il più “andreottiano” della seconda repubblica è Giorgio Napolitano, che ha un senso degli equilibri politici e del rapporto tra politica e istituzioni che risente dell’esperienza e della saggezza della prima repubblica.        



Se fosse stato in Parlamento come avrebbe affrontato il fenomeno “grillini”?

Posso immaginare che Andreotti avrebbe lavorato all’interno del Parlamento per coinvolgerli giorno dopo giorno nel lavoro parlamentare come fece con grande abilità nei confronti del partito comunista, quando il Pci era all’opposizione e doveva restarci per la logica della guerra fredda.

Oggi lo stile dei politici è l’esatto opposto di quello che Andreotti ha rappresentato per una vita, uno stile caratterizzato da sobrietà, concretezza, ricerca di una mediazione possibile. Oggi si grida all’inciucio ogni volta che si cerca un compromesso. 

Da questo punto di vista non c’è dubbio che l’eredità di Andreotti non è stata raccolta praticamente da nessuno. Possiamo immaginarci che Andreotti deprecherebbe i toni polemici di oggi, le contrapposizioni frontali e lavorerebbe per conquistare in qualche modo tutti al gioco istituzionale. Ricordo le sue considerazioni acute sui rischi di tenere fuori dal Parlamento, come invece è accaduto nelle ultime elezioni, l’estrema sinistra. Per lui essa aveva una funzione importante che era quella di rappresentare un certo tipo di malessere e di protesta sociale che doveva essere rappresentata in Parlamento, seppur non nell’area di governo.           

Oggi all’Italia non farebbe comodo un Andreotti per uscire dalla crisi?

Certamente avremmo bisogno di molti Andreotti. Non sono io a dirlo, ma la grande emozione che si è accesa subito dopo la notizia della sua morte. Quasi si volesse indicare un modo di fare politica che oggi non si trova più e di cui viceversa molti sentono il bisogno.

Nostalgia di Andreotti?

Innanzitutto di un modo di far politica costruttivo. Cosa che oggi, paradossalmente, non sembra interessare molto. Anche se tutti dicono che è importante decidere, che bisogna fare le riforme, in realtà poi si perde molto tempo in una politica che non è politica.

 

Si spieghi.

La politica di Andreotti era la politica della mediazione, della convergenza anche con i tanti nemici di fronte alle necessità del Paese. Grazie a questo modo di fare politica, il 90 per cento delle leggi veniva approvato con la collaborazione dell’opposizione. Erano pochissime le occasioni in cui il Parlamento si spaccava: ad esempio, in politica estera, per la Nato, o cose di questo genere. Oggi invece la divisione precede i contenuti; l’imperativo della contrapposizione precede l’esame delle questioni.          

 

Secondo lei, che è uno studioso, cosa resta da approfondire della sua figura?

Credo molte cose, dal momento che la figura di Andreotti attraversa mezzo secolo di storia italiana. Tra queste rimane da approfondire il ruolo di Andreotti come espressione di un centro che ha egemonizzato la destra.  

 

Ovvero?

Nell’Italia del primo dopoguerra l’eredità del fascismo era ancora molto pesante. Lo Stato era pieno di amministratori di quel periodo. Si è sempre detto che Andreotti era espressione della destra. Non è esattamente così. Andreotti è colui che ha recuperato la destra allo Stato. E poi ha imposto svolte importanti. Penso a quando nel ’64 prese posizione nei confronti dei dirigenti dei servizi segreti stabilendo che i servitori dello Stato dovevano agire nella fedeltà ai valori della Costituzione. Questo fece molto scalpore perché in effetti fu una vera svolta.