Antoni Gaudì. Oggi Google ha dedicato il “doodle” del giorno a un artista centrale per la storia dell’architettura contemporanea, eppure ancora non universalmente noto. Le sette immaginette che propone agli internauti il motore di ricerca, per chi le guardasse di sfuggita, potrebbero apparire come altrettanti quadri di Picasso, il pittore spagnolo più celebre del mondo, o del surrealista (e, quanto a cognome, assonanzato) Salvador Dalì, ma sono invece un omaggio al loro connazionale Antoni Gaudì, probabilmente meno conosciuto, ma non per questo di minore importanza per la Storia dell’Arte. Oggi, infatti, ricorre il 161esimo anniversario della nascita di colui che per quart’anni portò avanti i lavori della Sagrada Famìlia, basilica di Barcellona ancora oggi in fase di costruzione: fu proprio Gaudì – che venne al mondo il 25 giugno del 1852 a Tarragina, nella Catalogna meridionale – ad essere nominato, a soli 31 anni, architetto capo del cantiere dell’enorme chiesa che era stata pensata per la più importante città catalana, della quale, tra il 1884 e il 1887 portò a termine la cripta e poi, tra il 1891 e il 1893 l’abside. Partito dalla base della cattedrale, Gaudì proseguirà poi l’erezione della opera che si spingerà sempre più verso l’alto, partendo da un presupposto tipico dell’arte gotica e delle sue chiese, slanciate idealmente verso l’alto, ma rivisitando completamente la forma e rendendo fluida e plastica la materia con la quale forgiava le guglie e i pinnacoli, come fosse un bambino che giocava con la sabbia bagnata. Cuspidi, ceramiche, formelle e rosoni: un sostanza antica e ben conosciuta al popolo cristiano, che Gaudì riesce a reinventare in chiave post-moderna, seguendo da vicino, in modo quasi maniacale, ogni passaggio e ogni lavorazione e rimanendo aperto alle influenze delle avanguardie e al clima della Barcellona di fine ‘800, strizzando l’occhio alle innovazioni cubiste e del Liberty. Un’opera interminabile e interminata che, secondo le previsioni potrebbe finire solo nel 2026, a 144 dall’inizio dei lavori, battendo persino la Basilica di San Pietro – eretta in “soli” 120 anni – ma non il Duomo di Milano, il cui cantiere prese il via nel 1386 e terminò solo nel 1892. Un’opera alla quale lo stesso Gaudì non esitò a dedicare completamente la sua vita, continuando a lavorarvi fino alla morte, intervallando agli impegni per i progetti della Sagrada Familìa solo per realizzare opere destinate sempre alla città di Barcellona, come casa Vicens, casa Calvet e Batlò e il parco Guell, che concettualmente rimandando sempre e solo alla basilica, come fossero tutti accessori complementari di quella che è il vero cuore della produzione dell’architetto. Un cuore che però non si è spento dopo la triste fine di Gaudì, investito a 73 anni, il 7 giugno del 1926, da un tram e scambiato per un mendicante a causa dei suoi abiti dimessi, dal momento che ancora oggi, da ogni parte del mondo, giungono a Barcellona i migliori artisti per proseguire l’opera di colui che dal giorno dei suoi funerali – a cui parteciparono migliaia di persone – fu chiamato “l’architetto di Dio”, ideatore di un progetto che continua imperterrito nel corso dei decenni che hanno visto spegnersi lentamente la passione per Cubismo e Surrealismo. 



Leggi anche

LETTURE/ “Oligarca per caso”, l’ultimo avvertimento di De Rita all’Italia dalle mille risorseARTE/ Friedrich, quando l’infinito “riscatta” l’ossessione della morte