Come è noto la Uaar (Unione Atei, Agnostici e Razionalisti) ha lanciato una campagna di sensibilizzazione alle “discriminazioni” cui sono sottoposti gli atei in una società, che però a quanto mi risulta è piuttosto secolarizzata e dove il credere in Dio non risulta molto popolare.

Quello che mi ha colpito è l’utilizzo di uno slogan nel quale alla parola “Dio” viene cancellata la D per farla diventare “io”; il messaggio conclude che 10 milioni di italiani fanno volentieri a meno di questa D e vivono bene, a parte le possibili discriminazioni.



Ovvio che difendersi dalle discriminazioni, e pretendere che non siano attuate, tollerate o giustificate da chiunque è sacrosanto (absit iniuria). Trovo interessante però analizzare questo messaggio, che a mio parere è opposto a quella razionalità scientifica che, almeno nella “ragione sociale” della comunità, viene sottolineata con giusto orgoglio.



Il fatto è che scienziati rigorosamente atei come Douglas Hofstadter e filosofi altrettanto atei come Daniel Dennet, tra i tanti, arrivano alla conclusione scientificamente ineccepibile che in un universo totalmente composto da campi, particelle, membrane, stringhe, e utilizzato come modello della realtà, senza il presupposto di una Trascendenza, di un Essere fuori da questo universo, l’io non può esistere. Si potrebbe correttamente affermare “senza Dio non c’è Io”.

Cercare la coscienza nei neuroni, a parte i nobili tentativi fatti, a partire da Cartesio (che se non sbaglio pensava alla ghiandola pituitaria) fino a Roger Penrose, che propone processi quantici che avvengono nei microtubuli associati ai neuroni, penso che equivalga alla affermazione attribuita a Gagarin, che non avendo visto Dio al di fuori della stratosfera si convinceva definitivamente della Sua non esistenza.



Hofstadter ad esempio, nel suo ottimo saggio Anelli nell’io, riprende i concetti che già una trentina di anni fa aveva espresso nel suo capolavoro Goedel Escher Bach: non esiste nella nostra mente una “coscienza” che costituisca quello che consideriamo il nostro Io, ma solo una serie concatenata di processi mentali che ci danno l’illusione di una continuità cosciente e responsabile. Ciascun processo per qualche istante domina tutti gli altri, ma poi “passa la palla” ad un successore, e così via. I processi mentali sono ovviamente (dal punto di vista scientifico) nient’altro che trasformazioni fisico-chimiche che interessano i nostri neuroni. Chiunque sia convinto di avere una coscienza, un Io, se ha una cultura scientifica mediamente aggiornata mi pare che abbia due scelte: o convive con la convinzione che la sua è solo un’illusione, o si comporta come il proverbiale calabrone, che in base a un (supposto) studio aerodinamico che dimostra scientificamente che non può volare, lo ignora e vola ugualmente.

A parte le battute, è ancora più interessante analizzare la posizione scientifica relativamente alla libertà, non diciamo di coscienza (già eliminata dal tavolo) ma di comportamento, alla volontà, al libero arbitrio.

Qualche anno fa sul New York Times, in seguito se ricordo bene ad una lettera alla Redazione, prese il via un dibattito tra scienziati cognitivi e filosofi sulla esistenza o meno del libero arbitrio, e dopo qualche settimana di pareri a favore e confutazioni, la maggioranza sentenziò che, sempre ragionando “all’interno” dell’universo che gli scienziati conoscono e studiano, la volontà non esiste: anche in questo caso si può concludere con una battuta: le particelle “volitoni” non fanno parte del modello.

In effetti questa posizione razionale è ancora più facilmente comprensibile della precedente, anche senza entrare in competenze scientifiche sofisticate: se ogni nostro pensiero è rappresentato esclusivamente da campi e particelle, cioè se noi non siamo altro che Sistemi (molto) Complessi, non c’è spazio per alcun atto che non sia o casuale (sempre che esista il caso) o determinato “meccanica-mente”.

Un ovvio corollario di questa realizzazione è che non esistendo la possibilità di scansare sia il Caso sia la Necessità, nessuno può essere ritenuto responsabile di alcunché. Sarebbe come rimproverare la nostra automobile se in un mattino di inverno “si rifiuta” di mettersi in moto.

Tornando al nostro messaggio Uaar, dobbiamo concludere razionalmente che non solo questi 10 milioni di connazionali sono soddisfatti di avere un Io in realtà inesistente, ma che la loro convinzione di scegliere di non credere in Dio in realtà è totalmente condizionata dalle leggi chimico-fisiche. Ma anche tutti noi siamo nella stessa barca governata dalla Scienza, illusi di esistere come coscienza e di avere volontà: c’è però una via di uscita dal nichilismo di questa convinzione.

Per nostra fortuna Goedel, quasi un secolo fa, ha dimostrato, in parole povere, che attribuire tutte e solo le verità ad un rigoroso discorso scientifico è errato. Costruire modelli conoscitivi e comportamentali sulla base di assiomi e teoremi razionalmente e robustamente correlati non esaurisce le possibilità di interpretare correttamente il mondo. Abbastanza curiosamente questa pietra miliare relativa alla scienza e alla conoscenza è poco conosciuta, e la gran parte delle persone continua a ritenere che il discorso scientifico releghi automaticamente e esaurientemente nel regno delle “panzane” qualsiasi altro tipo di ragionamento.

E’ ovvio che se da un lato la scienza non può pretendere di esaurire la ricerca della verità, dall’altro è fin troppo facile che un discorso a-scientifico parta per la tangente delle farneticazioni. La ricerca relativa ad argomenti che vengono comunemente chiamati “spirituali” per contrapposizione a quelli (cosiddetti) scientifici, richiede infatti una metodologia seria, condivisa, lunga, potremmo dire millenaria.

Il concetto di Dio di noi cristiani, trascendente, fuori dall’universo e quindi non soggetto alle relative leggi, che mette in ciascuno di noi, nel momento in cui iniziamo la nostra avventura materiale, una scintilla di trascendenza (coscienza, anima), ci fornisce una comprensione dei limiti “universali” della ragione, ci fa intravvedere questa razionale complessità “dall’esterno”.

Ci consente da un lato una entusiastica ricerca di tutto ciò che è razionalmente e fruttuosamente modellabile, e dall’altro una chiave di interpretazione dei “messaggi” di diversa natura, che definiamo spirituali, che questa scintilla ci manda continuamente.

Non è un caso che il metodo scientifico sia fiorito nella cultura cristiana, sulla base del convincimento che fuori di noi esiste un universo governato da leggi, e dentro di noi una capacità di continuare ad essere sempre “un po’ più in là” dei modelli razionali che ci consentono di comprendere queste leggi.