«L’arte presenta la bellezza, lo splendore, la gloria, la maestà, il plus che è nelle cose e che si ritira quando dite che la luna è solo terra e le nuvole sono solo acqua». Questa bellissima riflessione di Bernard Lonergan può esserci d’aiuto per comprendere la natura dei Cieli scolpiti e dipinti da Vittorio Tavernari (Milano 1919-Varese 1987) a partire dalla fine degli anni sessanta. Quando raffigura la volta celeste, infatti, Tavernari dimostra di volersi spingere al di là di un semplice interesse per l’elemento naturale. I Cieli non sono fotogrammi di nuvole e luci, ma veri e propri interlocutori delle vicende terrestri.
Per penetrarne fino in fondo il significato dobbiamo fare un passo indietro nel tempo e ricapitolare il percorso artistico di Tavernari. Come è stato sottolineato anche dalle più recenti attenzioni critiche (è il caso dell’importante mostra antologica allestita a Varese, al Castello di Masnago, tra il 1997 e il 1998 o della piccola esposizione curata da Vittorio Sgarbi nel 2007), l’insieme delle opere dello scultore lombardo compone un mosaico di rara intensità, una riflessione sui temi centrali dell’esistenza umana. Tavernari non si accontenta di consolazioni temporanee e illusorie, ma sceglie di scavare in profondità e, al contrario di molti artisti del suo tempo, recupera il dialogo con la natura e con il trascendente.
Per lui, allievo di Francesco Wildt (figlio del ben più famoso Adolfo), l’esordio sulla scena artistica avviene sullo scorcio degli anni trenta. I primi tempi, votati alla ricerca di un linguaggio personale, lo portano a disegnare molto e a confrontarsi con i generi più svariati, dal ritratto al paesaggio. L’affermazione non tarda ad arrivare: nel 1945 è tra i fondatori della rivista d’arte Numero e l’anno successivo tra i firmatari del Manifesto del Realismo, noto anche come Oltre Guernica.
Negli anni cinquanta, trovata la propria strada, comincia a realizzare i Torsi femminili, che gli servono per celebrare, senza retorica, la forza genitrice della natura. Con i Torsi di Cristo, invece, grazie alla materia franta e offesa, concepisce una delle più strazianti elaborazioni moderne dell’imago pietatis.
Lo strazio ritorna, amplificato, nei Calvari, che, come ha precisato Enzo Carli (1974), nascono «dall’aspirazione a rendere tutto il creato partecipe della tragedia del Golgota». In croce, insieme a Cristo, è inchiodata l’umanità intera. Sui rapidi solchi che restituiscono le membra sopraffatte dagli spasimi sembra scendere un silenzio angoscioso, un velo di morte. Ma lo sconforto è soltanto provvisorio perché accanto alla dimensione del dolore, anzi proprio nel cuore della sofferenza, come già nei Torsi di Cristo, matura la prospettiva della redenzione.
Un analogo messaggio di speranza riveste i Cieli, senza dubbio i veri capolavori dell’arte di Tavernari. Queste opere, che riproducono la volta celeste con intenti metaforici, sono gli eredi più diretti dei Calvari, poiché, oltre alla coraggiosa vocazione alla frontalità, ne riprendono i temi portanti.
Se Guido Piovene (1970) interpreta i Cieli soltanto come un disperato canto di dolore, Marco Valsecchi (1970) riconosce in essi anche e soprattutto una risposta alla sofferenza umana: «Rappresentano inoltre un luogo in cui esistere senza la pena del travaglio o dove, da esso, si intravveda un termine, una conclusione. Dovrà pur esserci da qualche parte un esito a tanto patire, che non sia soltanto la morte. Tavernari, che ha toccato i fremiti più reconditi e visto le ferite più dolorose, offre ancora un orizzonte allo strazio della carne. Tavernari […] ha lasciato un segno non perituro, perché generato da una fraterna ansietà che è solo dei veri artisti, compagni e mai nemici delle creature».
Nei Cieli Tavernari riesce a racchiudere non solo le inquietudini del proprio tempo, ma anche un invito a tenere viva la speranza. Infatti tra le nuvole minacciose e le coltri di nebbia incastra meravigliosi e indimenticabili sprazzi di luce. E non è tutto, perché il messaggio di speranza coinvolge anche le crocifissioni e le figure di innamorati inserite in molti Cieli.
Tavernari ai dolorosi tormenti pronti a sommergere l’uomo sembra contrapporre un’unica, ma decisiva, soluzione: l’amore. Nel sacrificio di Cristo e nell’abbraccio intenso di due innamorati riesce a trovare una luce intensa, incoraggiante, più forte di qualunque ombra.