“Io sono Giuseppe, vostro fratello”. Con queste parole di origine biblica papa Giovanni XXIII accolse nel 1961 in Vaticano un gruppo di ebrei americani che si erano recati a ringraziarlo per la sua opera a favore del riconoscimento dello stato d’Israele dopo la Seconda guerra mondiale. Si tratta di un episodio che illumina un aspetto della vita del “papa buono” ancora sconosciuto al grande pubblico. Un aspetto che però sembra destinato a venire prepotentemente alla luce nei prossimi mesi se avrà successo l’iniziativa della International Raoul Wallenberg Foundation di sostenere il riconoscimento di Angelo Roncalli come Giusto tra le Nazioni. Nel frattempo lo scorso 29 aprile si è tenuto a Gerusalemme un convegno internazionale che ha ricostruito l’opera del Roncalli diplomatico e uomo di Chiesa a favore degli ebrei. Tra i supporter dell’iniziativa lo Yad Vashem, l’istituzione israeliana preposta alla custodia della memoria della Shoah, e la Fondazione internazionale Gariwo, presieduta dall’ebreo milanese Gabriele Nissim.



L’opera di Roncalli a favore degli ebrei fu multiforme. Durante l’ultimo conflitto mondiale, da delegato apostolico della Santa Sede in Turchia e Grecia, si adoperò per incoraggiare e aiutare i migliaia di ebrei rifugiati che transitavano dal porto di Istanbul, a molti dei quali egli fornì certificati di immigrazione per facilitarne il transito in Palestina. Sino al 1944 Roncalli non si risparmiò nel soccorso agli ebrei anche al di là dei limiti delle sue competenze. Si adoperò ad esempio per liberare gli ebrei detenuti nel campo di concentramento di Jasenovac in Croazia, per convincere il re bulgaro Boris III a permettere la partenza degli ebrei del suo Paese, per spingere il governo rumeno a lasciar andare gli ebrei della Transnistria, per incoraggiare la Santa Sede ad aiutare gli ebrei in Italia e altrove, per inviare tramite corrieri diplomatici e suore al Nunzio apostolico in Ungheria Angelo Rota falsi certificati di battesimo che mettevano al riparo gli ebrei ungheresi dalla deportazione nei campi di sterminio (la cosiddetta “Operazione battesimo”). In generale Roncalli collaborò con le organizzazioni clandestine della resistenza ebraica durante la sua permanenza a Istanbul e in seguito, quando nel 1944 fu trasferito a Parigi. 



Dopo la fine della guerra il futuro papa si adoperò perché la Santa Sede intercedesse presso i governi latino-americani e li convincesse a non opporsi alla risoluzione dell’Onu che diede il via libera alla nascita dello stato di Israele. Da Sommo Pontefice Roncalli abolì il termine “perfidis” dalla preghiera del venerdì santo per la conversione degli ebrei e giocò un ruolo fondamentale nella preparazione delle bozze del documento conciliare Nostra Aetate, la quale chiarisce una volta per tutte che la responsabilità per l’uccisione di Cristo non può venire addossata agli ebrei in quanto tali.



Ma perché Roncalli non è stato ancora riconosciuto come Giusto tra le nazioni da parte dello Yad Vashem? Secondo i responsabili della International Raoul Wallenberg Foundation l’ostacolo principale sarebbe il rapporto di Roncalli con Pio XII, la cui opera è ancora oggetto di controversia. Non entro nella vexata quaestio. Mi limito ad auspicare − riecheggiando l’intervento di Matteo Luigi Napolitano dello scorso 25 febbraio su queste pagine − che la ricerca sull’opera di salvataggio degli ebrei durante la Shoah non si limiti più a indagare i meriti dei singoli individui con il lodevole intento di celebrarne la memoria, ma si allarghi alla ricostruzione delle reti di assistenza e del contesto sociale che le sosteneva. Salvare una vittima in genere richiedeva infatti la collaborazione tra vari individui e istituzioni che operavano più o meno clandestinamente. 

Più che la celebrazione dell’eroe isolato, ciò che è capace di educare ed edificare le generazioni del presente e del futuro è proprio la considerazione della collaborazione tra tanta gente comune che, con l’aiuto delle istituzioni religiose, metteva a repentaglio la propria incolumità e quella dei propri cari per salvare piccoli gruppi di ebrei organizzando con grande cura ogni minimo particolare. Anche l’opera di Roncalli sarebbe stata impossibile senza questo sostrato etico popolare che ha giocato il ruolo di vera e propria resistenza morale nei confronti della barbarie nazi-fascista.

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