La notizia del bimbo geneticamente garantito concepito in Inghilterra, su cui è già intervenuto Francesco Agnoli, si presta a tutta una serie di considerazioni. Per cominciare: si tratta sotto più di un profilo di un segno di tempi in cui l’ideale di una perfezione quantitativa regna incontrastato. Curiosamente, mentre pare sempre più difficile definire degli standard normativi riconosciuti e anche la semplice normalità è messa sotto accusa e confutata, resiste l’ideale superstite della perfetta salute. Ma l’apparente contraddizione non è casuale: la speranza di massimizzare la propria esistenza biologica, e ovviamente quella dei figli, è quanto sopravvive al tramonto di traguardi più ambiziosi o addirittura trascendenti. Il piano orizzontale della salute assorbe insomma tutte le prospettive di vita.
Il fatto è che queste comprensibili aspirazioni sono doppiamente pericolose. Da un lato, il miraggio dell’uomo migliorato (enhanced) agisce potentemente e contribuisce a far trascurare legittime preoccupazioni etiche: di fronte al benessere dei figli, ogni prezzo sembra accettabile, ogni esitazione moralmente motivata sembra imperdonabile o addirittura criminale. Non a caso si passa senza soluzione di continuità (illudersi al proposito è ingenuo) dalla terapia al miglioramento: il confine è sottile e attraversarlo è quanto di più facile, per chi cerca di fornire il meglio a sé stessi o alla propria discendenza.
Dall’altro, si tratta appunto di un miraggio. Ovviamente, nessuna profilassi preventiva o strategia terapeutica è in grado di garantire assolutamente. Come nella società del rischio barriere più alte o fili spinati non solo non proteggono fino in fondo ma forniscono proprio l’istigazione a chi dall’esterno guarda con desiderio verso ciò che si ritiene protetto, esattamente così anche nelle migliori profilassi sanitarie resta il margine dell’incontro con la matrice fondamentale dell’uomo, e cioè, inevitabilmente, la finitudine e il limite.
Non si tratta dell’approvazione masochista del limite stesso, ma della sua accettazione consapevole, che è sempre più rara. La legittima battaglia contro la malattia ha l’effetto collaterale di allevare il narcisismo vittimista di chi è disabituato a fare i conti con la condizione umana.
Ed esiste, inoltre, un prezzo ulteriore connesso specificamente alla questione della progettazione di neonati. Ciò che rischia di andare perduto in questa enfasi sull’impeccabile, sul garantito, sul sicuro, è il sapore dell’imprevedibile, il carattere della novità che la nascita, come fatto ontologicamente radicale analizzato in pagine memorabili da Hannah Arendt, porta con sé. Ogni venire al mondo presenta, fino ad oggi, l’irripetibilità della cifra individuale di ciascuno di noi. Anche Habermas, in alcune delle sue riflessioni più note e discusse degli ultimi anni, ha sottolineato il rischio di deprezzare, anzi letteralmente annullare, questa individualità laddove si passasse alla progettazione degli esseri umani.
Non si può certo condannare l’ambizione alla salute e alla sicurezza. Ma si può e si deve guardare con sguardo lucido ad una società sempre più spaventata, che in ogni ambito cerca di produrre, quale ultimo progetto davvero onnicomprensivo, una mitologica sicurezza e salubrità. Dall’alimentazione irrealizzabilmente sana alla ginnastica della terza età, da interventi chirurgici che dovrebbero essere assolutamente privi di pericoli a una sessualità che cerca di diventare incredibilmente asettica e contemporaneamente potenziata, dai sistemi di sicurezza nelle case a quelli nelle automobili: tutto ci parla della stessa pulsione al rischio zero. Vale la pena di ricordare che è proprio la vita, anzitutto, ad essere il luogo del rischio e del contagio? Effettivamente a rischio zero è solo ciò che è già morto.
Il bambino inglese è solo l’ultimo esito, per il momento, di questa tendenza. Non sarà facile contrastarla, laddove essa è così innervata in profondità e interviene nelle speranze più intime degli esseri umani, come la genitorialità. Tuttavia, esserne consapevoli potrebbe aiutare a smitizzarne la presa.