Anche in Germania la politica è “sangue e m…”, come disse nel tardo Novecento il parlamentare italiano Rino Formica. Di recente la cancelliera federale Angela Merkel ha evocato le tempeste di impropèri, così di moda nella comunicazione sul web; però si è avvalsa dell’espressione Shitstorm “tempesta di m.”, che il tedesco ha ripreso da una voce di matrice anglo-americana.
Subito è divampata la polemica. Dicono che ai puristi sia dispiaciuta la citazione e non perché l’espressione sia giudicata sconveniente. È invece lecito ritenere che costoro avrebbero preferito l’impiego di una parola genuinamente tedesca, come, per esempio, Scheißensturm (la ß si usa, oggi, per una s sorda preceduta da vocale lunga; in Svizzera non si usa: a Zurigo scriverebbero Scheissensturm). Tale nome composto equivale, per struttura, all’originale inglese e costituisce un bell’esempio di “calco strutturale” (in ted. Lehnübersetztung). Invece, la Dr. Kästner (essendo Merkel il cognome del primo marito) ha preferito il bruto forestierismo (ted. Fremdwort), che si manifesta subito come anglicismo. Shitstorm imita il suono, la grafia e il senso dell’originale inglese. Non è una riproduzione perfetta perché nella lingua di arrivo c’è qualche piccola differenza nel suono (nella pronuncia, la resa tedesca si allontana leggermente dall’inglese), nella scrittura (Shitstorm in tedesco prende l’iniziale maiuscola, come prevede la norma ortografica tedesca), nella morfologia (l’inglese non ha genere grammaticale, il tedesco sì e impone a Shitstorm il maschile di Sturm che è parente prossimo dell’inglese storm; inoltre, der Shitstorm viene declinato come der Sturm – ha infatti il genitivo des Shitstorms).
Tali “adattamenti” al sistema del tedesco sono peraltro ridotti: permane, infatti, la grafia sh dell’inglese; inoltre, il nesso st è pronunciato all’inglese e non alla tedesca, ossia con la consonante di it. sci. Infine, al plurale fa Shitstorms, all’inglese. L’espressione tedesca Shitstorm ha dunque un basso grado di integrazione (ted. Einlehnung). Peraltro, se la parola è citata da Angela Merkel, vuol dire che ha un buon grado di acclimatamento (ted. Einbürgerung) a Berlino.
Per certi aspetti, Shitstorm costituisce un “prestito di lusso” e non “di necessità”, dato che il tedesco potrebbe benissimo usare il calco strutturale Scheißensturm. A ben vedere, tuttavia, la forma Shitstorm trattiene, in tedesco, un’aura internazionale che manca alla forma tedeschizzata. Inoltre, il vocabolo ha un senso peculiare: “nella comunicazione su Internet”, denota una “tempesta di indignazione, con uso di espressioni oltraggiose e offensive” (“Sturm der Entrüstung in einem Kommunikationsmedium des Internets, der zum Teil mit beleidigenden Äußerungen einhergeht”, cfr. http://www.duden.de/rechtschreibung/Shitstorm).
Per un senso nuovo occorre una parola nuova e Shitstorm va bene soprattutto perché invita subito a un’interpretazione metaforica. Invece, Scheißensturm potrebbe anche venir presa alla lettera, come concretissima “tempesta di letame” (scherzettino che piacerebbe ai contadini bavaresi: costoro già prendono in giro i mister inglesi, dato che, in tedesco, Mister potrebbe denotare un “addetto” al Mist cioè al letame…). Da questo punto di vista, Shitstorm è un prestito di lusso.
I critici sono indignati non per il letame, ma perché si diffonde il Denglisch, cioè il tedesco con tendenze inglesi. Va osservato che le due lingue hanno notevoli somiglianze strutturali che derivano dalla comune appartenenza al gruppo germanico occidentale. Può darsi che, nei decenni, il costante influsso linguistico dell’inglese determini un parziale orientamento del tedesco verso modelli morfologici e sintattici tipici dell’inglese. Ma si tratta pur sempre di modelli generalmente germanici, cioè caratteristici di un gruppo di lingue e non dell’inglese soltanto.
La pratica di difendersi dall’anglicizzazione, ricalcando le voci di matrice inglese con parole “indigene”, è diffusa in vari paesi europei e risponde a scelte di “politica linguistica”. A dire il vero, così facendo non si sottrae la lingua all’influsso inglese, dato che i significati “inglesi” sono introdotti lo stesso, pur con forme indigene. Come i flussi migratori dei popoli, così gli influssi di altre lingue sono inarrestabili. A fermarli non è la pianificazione dall’alto, ma i mutamenti storici. Oggi vi sono anglicismi. Domani, chissà, vi potrebbero essere ondate di turcismi (turco, kazako…). Del resto, il latino ha lasciato tracce ovunque nelle lingue germaniche, ma queste ultime non sono diventate romanze; sono cambiate, non tuttavia per “colpa” degli influssi di altre lingue, bensì perché il cambiamento caratterizza tutte le lingue storiche. Si vuole “guidare” il cambiamento? Si faccia pure, ma si deve riconoscere che la pianificazione è impresa complessa, che non sempre produce gli effetti attesi. Le lingue cambiano incessantemente – non si possono “fermare” – e gli esiti non sono prevedibili né controllabili. Rudi Keller, grande linguista tedesco, ha elaborato una teoria sulla “mano invisibile” nel cambiamento linguistico. La lingua si sottrae alla “volontà generale” ed è orientata all’ordine spontaneo, caro ai liberali come Friedrich von Hayek.