“Il Tu di Dio, e questo è il genio del cattolicesimo, ci raggiunge attraverso dei tu umani”. Ecco perché si può imparare la fede dalla propria nonna, come è stato per papa Francesco. “Tutti abbiamo avuto bisogno di un testimone, uno che vivendo in prima persona la fede ha reso possibile per noi l’adesione personale al dono di Dio”. La fede è una luce che non viene da noi, ma è entrata nella storia degli uomini, e si trasmette da persona a persona, come una fiamma, dice la nuova enciclica Lumen fidei. Una “fiamma” che nulla toglie alla nostra libertà di uomini. Parla Javier Prades, teologo della Facoltà San Dámaso di Madrid.



La nuova enciclica di papa Francesco spiega la fede con la metafora della luce. Perché?
In occidente la metafora della luce per indicare la conoscenza della verità ha una lunga tradizione che risale a Platone ed è ripresa da Agostino. Per questo possiamo dire che l’uomo che riesce a comprendere il reale “vede”, grazie alla “luce” della ragione. Questa tradizione si incontra con la ricchezza della Sacra Scrittura dove san Giovanni e san Paolo presentano Gesù come Colui che è la luce e viene a portare la luce definitiva al mondo.



“Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada” dice l’enciclica, proprio perché non è una luce umana. Allora chi non crede che cosa vede?
Non è esatto dire che la luce della fede non è umana. Piuttosto è una luce che non viene da noi, anche se certamente è ciò che desideriamo di più. È luce di Dio e come tale non è un prodotto delle nostre forze; per questo chi crede è potenziato e aiutato a comprendere la realtà del mondo e di sé fino alla sua origine prima e fondante, che è Dio stesso. Che cosa vede chi non crede, lei chiedeva. Vede molte cose, perché l’uomo è dotato di una ragione che è luce per vedere. Grazie alla scienza, alla filosofia e a tutte le modalità di conoscenza gli uomini vedono tanto. Rimangono comunque due questioni aperte: siccome la luce della ragione si è oscurata per il peccato, è molto frequente che gli uomini vivano nella confusione o nell’apparenza; d’altra parte, la ragione non riesce a conoscere tutto fino in fondo, ma è sempre spinta verso un aldilà che non può raggiungere da sola.

Sembra che la fede, come dono di Dio, implichi due aspetti: l’iniziativa di un altro e la nostra risposta ad essa, come adesione a qualcuno o qualcosa. Prevale Dio o la nostra scelta?

A ben guardare, l’alternativa contenuta nella sua domanda è estranea all’esperienza cristiana. È il frutto di una separazione tra fede e ragione che si è consumata in occidente negli ultimi secoli, per la quale esse sono concepite come estranee l’una all’altra. La fede sempre viene da un altro: l’iniziativa è di Dio, ma anche la nostra risposta è resa possibile da quel dono, dalla sua presenza in noi, che suscita la nostra risposta. 

Ci spieghi meglio questo punto.
Non c’è una proporzione inversa − più dono, meno libertà −, ma una proporzione diretta: la sovrabbondanza di dono rende possibile e più facile la risposta libera. Si potrebbe documentare per analogia anche sul piano dell’esperienza elementare di ogni uomo: quanto più un amore è intenso, inatteso, commovente, tanto più siamo capaci di mobilitare la risposta. La Sua iniziativa ci precede sempre e rende possibile la nostra! Non a caso l’enciclica accosta molto la fede sia alla verità che all’amore.

Nell’enciclica ricorre 23 volte la parola “cuore”. Che significato ha questo termine a proposito della fede?
L’enciclica è precisa nell’usare il termine “cuore” in senso biblico, che non ha nulla a che fare con una riduzione sentimentale del cuore come di solito è operata nella letteratura o nel senso colloquiale del termine. Cuore è l’io umano nella sua integralità e nell’unità di tutti i suoi dinamismi affettivi, volitivi e cognitivi. Il cuore è la vera sede del dono di Dio, che tocca il profondo dell’uomo interessando tutta la sua persona.

Nell’introduzione si legge che la cultura contemporanea ha relegato la fede nel “buio”, opposto alla luce della ragione. “La nostra cultura ha perso la percezione di questa presenza concreta di Dio, della sua azione nel mondo”. Esiste una strada per riscoprire la fede oggi?
Sì. Poiché la fede è un dono, la strada per riscoprirla è imbattersi in un incontro gratuito con una Persona, in un avvenimento. La fede non è prodotto di fattori antecedenti, ma è dono di Dio in senso “puro”: l’uomo non può, per così dire, costruire una scala che pian piano lo porti fino al possesso del Dio vivo e vero. Finché Cristo non si dona, rendendosi nella comunità cristiana presenza umana per l’uomo, non c’è strada alternativa che renda possibile la fede cristiana. 

C’è però una disposizione dell’uomo alla verità.
C’è nell’uomo un insieme di esigenze e di evidenze creaturali che rendono più facile riconoscere ed accogliere il dono nella sua vera portata. Se c’è una strada alla fede è quella dell’imbattersi nell’incontro con Gesù con la semplicità di cui parla il Vangelo, con un cuore di bambino.

Nella Veglia di Pentecoste (18 maggio, ndr) a chi gli chiedeva come aveva potuto raggiungere nella sua vita la “certezza sulla fede”, Francesco ha risposto “è stata sopratutto mia nonna (…) che ha segnato il mio cammino di fede”. Altri che l’hanno ricevuta in questo modo, però, l’hanno perduta.

Poiché viene da fuori di me, la fede è intrinsecamente legata ad un rapporto, perché è in un rapporto che avviene un dono tra persone. Il Tu di Dio − e questo è il genio del cattolicesimo − ci raggiunge attraverso dei tu umani. L’esempio del Papa è calzante perché dimostra che tutti abbiamo avuto bisogno di un testimone, uno che vivendo in prima persona la fede ha reso possibile per noi l’adesione personale al dono di Dio. Questa trama di rapporti che costituiscono il mondo della vita è l’alveo attraverso cui ci arrivano tanti beni, tante conoscenze, tanti benefici per la nostra vita, e Dio si è voluto piegare a quello stesso metodo per comunicarsi, attraverso i testimoni. Con grande scandalo di tanti; eppure è il metodo che ha scelto Dio.

Perché Maria è “icona perfetta della fede”?
Perché in Maria si realizzano in pienezza tutte le dimensioni della fede. Per esempio, la dimensione storica: è figlia di Sion, cioè si inserisce nella tradizione dei “giusti di Israele”, coloro che attendono il compiersi della promessa di Dio; oppure la dimensione esistenziale, perché lei ha accolto il dono dell’Altissimo nella pienezza della sua umanità, come nessun altro può fare. È stata a tal punto graziata dal dono divino, che in lei la libertà come adesione è stata pura.

Cosa vuol dire?
Che in lei dono e libertà si compiono reciprocamente. È qui che si vede il superamento di quella contrapposizione di cui si parlava prima. La Madonna è colei che ha ricevuto un dono superiore a chiunque altro, il Dono più alto che si possa avere. Per questo è colei che è stata in grado di dare la risposta più personale è più integralmente umana a Dio che si possa immaginare nel mondo.

Dove sta la novità di questa prima enciclica di papa Francesco?
È una bellissima sintesi sulla fede, che fa tesoro di quanto proposto nei documenti del Concilio e nelle encicliche di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Adesso per la prima volta abbiamo un insegnamento sistematico del magistero sulla fede. In secondo luogo, è netta la scelta di privilegiare la dimensione di accesso alla verità propria della fede, mentre a volte si sottolinea di più l’oscurità della fede o il non vedere. Nell’enciclica la fede è soprattutto un vedere, è essa stessa una luce che illumina la ragione e rende possibile conoscere la realtà. Questo ha poi, in terzo luogo, un dispiegarsi sacramentale ed ecclesiale, con delle conseguenze decisive per la vita personale e sociale, ma è un tema che richiederebbe ulteriori approfondimenti.

(Federico Ferraù)