Oggi al Meeting di Rimini si terrà l’incontro di presentazione della mostra fotografica di Graziella Vigo dedicata all’Armenia. In questo articolo, l’autrice racconta, per immagini e “appunti di viaggio”, come è nato il suo lavoro.
Dopo aver viaggiato tutto il mondo grazie al mio lavoro di giornalista e di fotografa per tanti anni, un giorno – grazie a un incontro importante per la mia vita e di cui sono profondamente grata – sono partita per l’Armenia, senza sapere neanche bene dov’era. Il desiderio di questo “viaggio” è venuto da molto lontano e ha richiesto un’attenta preparazione, per andare a “vedere” e documentare un paese di cui si sa così poco, di cui esistono così poche immagini, e renderlo visibile e vivo nelle mie immagini. L’Armenia è un paese antichissimo, i suoi panorami sono indimenticabili. Si apre su altipiani deserti, vallate pietrose, laghi che riflettono un cielo immenso, con le nuvole che si rincorrono all’infinito. E poi le città piccole e grandi, con i giovani che studiano nella capitale e i vecchi che giocano a dama nelle stradine dei villaggi. La vera essenza, l’anima dell’Armenia sono i monasteri millenari con le loro cupole, le immagini ingenue delle Madonne, le croci di pietra, sbalzate, ricamate, incise nella pietra rossa e grigia. Monasteri isolati nel fondo delle valli, scavati nella roccia delle montagne, apparentemente deserti ma sempre aperti al culto della prima chiesa cristiana, la più antica del mondo. Nelle mie fotografie e nel primo libro Armenia ho testimoniato le cerimonie più sacre, momenti di vita quotidiana, mestieri perduti, persone dai volti senza tempo e documentato l’immagine di un popolo forte e gentile, che ha conservato nei secoli la sua straordinaria unicità.
KARABAKH IL GIARDINO SEGRETO – Questo territorio è la parte estrema orientale del grande Impero Armeno di Tigran il Grande, 95-55 a.C., che gli armeni chiamano Artzakh. Con le cime dei suoi monti, a migliaia di metri sul livello del mare, dà l’impressione di una enorme fortezza che si erge, inaccessibile, sulle pianure steppose. Questo territorio costituisce con l’Ararat un simbolo per gli armeni di tutto il mondo. Il Karabakh (in turco persiano significa “giardino nero” nascosto, segreto) è un’isola montagnosa che si alza sopra la steppa che conduce al mar Caspio, è stato trascurato nel corso dei secoli dai nomadi venuti dall’est che preferivano trasformare giardini, orti e frutteti in pascoli per capre e pecore ed è rimasto risparmiato anche a causa dalla difficoltà di trasporto e di comunicazione.
E’ rimasto il paese di duemila anni fa, abitato dalla prima etnia cristiana, dedita all’agricoltura stanziale e alla pastorizia, capace di soffrire, resistere, difendere e amare la propria terra. “Noi siamo le nostre montagne” c’è scritto sul monumento al centro di Stepanakert, simbolo del territorio. E’ una regione quasi ignota del Caucaso del Sud, contesa per secoli, verdissima, fatta di boschi, foreste inesplorate, più di trecento villaggi fuori dal tempo e due città, capitali in tempi diversi. La purezza della gente è pari alla purezza dell’aria che si respira.
L’ospitalità di questo popolo è leggendaria. Pari alla sua forza straordinaria, al coraggio e alla fede. Si fa il pane fino a sera e le strade profumano. Karabakh è Armenia, primo paese al mondo che ha fatto della fede cristiana la religione di Stato, quella che ha tenuto insieme per oltre duemila anni tutte questi genti già dal 70 dopo Cristo. Indimenticabile il monastero di Dadivank, fondato da un allievo dell’apostolo Taddeo, rimasto nell’ombra della storia, avamposto cristiano in terre perdute, protetto da una fitta foresta che lo ha inghiottito per secoli. Tanti sono stati gli invasori e gli usurpatori a passare in queste montagne lungo il fiume dei secoli, ma questa gente è sempre rimasta qui, attaccata alla sua terra, generazione dopo generazione, in mezzo ai laghi alle foreste ai torrenti alle vallate di grano e alle vigne, con le aquile, i falchi, le cicogne, greggi infinite di pecore, cavalli selvaggi e le mucche che tornano a casa da sole la sera, camminando tranquille in mezzo alla strada.
SAN LAZZARO DEGLI ARMENI, VENEZIA – L’Armenia fuori dall’Armenia si trova in una minuscola isola nella laguna di Venezia. All’entrata dell’isola di San Lazzaro, accoglie il visitatore, unica costruzione dell’isola, il monastero dei Padri Mechitaristi e, circondata da melograni, una croce di pietra vulcanica, simbolo dell’Armenia, della sua fede e della sua storia. Una storia scolpita sulla roccia dei cuori e delle menti. San Lazzaro è una viva scintilla, un genuino germoglio di quella storia e cultura. È lo sforzo di un minuscolo gruppo di monaci che, su ispirazione divina e sotto la protezione della Santa Vergine Maria, ebbe l’idea di creare una Patria virtuale, di tessere per mezzo dei manoscritti e della memoria di intere generazioni l’odissea del proprio popolo che, anche se lontano dalle terre native, continua a portare nel cuore la propria Patria, essi stessi a loro volta Patrie itineranti. Chi visita San Lazzaro scopre proprio questo spirito, scopre l’Armenia, la sua tormentata ma ricca e dignitosa storia. San Lazzaro è il ponte tra Occidente ed Oriente, è un angolo dell’Oriente annidato nelle acque della Laguna della Serenissima. Serenissima: nome emblematico di una Repubblica sempre in movimento, in espansione e contrazione sino ad essere schiacciata dal concorso di grandi imperi. Solo fisicamente, però: Venezia, come l’Armenia, seppe rimanere a galla delle acque burrascose della storia per trasmettere un messaggio all’intera umanità; un messaggio di storia positiva, di cultura e specialmente della propria fede, a sostegno di valori imperituri.
LA MOSTRA OMONIMA – La mostra è corredata da un catalogo (con lo stesso titolo) di 96 pagine, formato 17×24 cm., anch’esso diviso in tre parti: Armenia – Karabakh – Isola di san Lazzaro, Venezia. Prezzo di copertina 15 euro. Apre con le fotografie fatte in Armenia, compreso un testo che è la storia della cristianità scritta da Pietro Kuciukian, console onorario d’Armenia a Milano. La seconda parte è dedicata al Karabakh con la maggior parte delle immagini e alcune poesie armene curate da Antonia Arslan. La terza parte è dedicata all’Armenia fuori dall’Armenia e cioè all’isola di San Lazzaro a Venezia con scene di vita quotidiana dei monaci e dei diaconi armeni che studiano nel monastero. Accompagna un testo di Padre Abate Elia.