Non lo troverete – purtroppo – negli autogrill o nei supermercati, ma cercatelo nelle librerie o al Meeting di Rimini dove viene presentato oggi. È un libro che mette in azione i neuroni per aiutarci ad indagare su noi stessi non con le armi della psicologia, ma con la forza di pagine che penetrano profondamente nell’esperienza umana. Singolare a cominciare dal titolo, il saggio mi sembra significativo anche in quella letteratura cosiddetta religiosa (esegesi, spiritualità, ecc.) che talvolta lascia perplessi anche i lettori più benevoli. Si tratta di una meditazione, qui molti lettori potrebbero dire: non fa per me, non voglio meditare. Ma non siamo in epoca di grandi riflessioni? Di valorizzazione delle filosofie orientali – di recente ad Atene si sono incontrati filosofi occidentali e orientali per discutere sul futuro del mondo -, non  stiamo cercando un nuovo umanesimo dopo la crisi epocale e planetaria? Bene, questo libro va in questa direzione, propone in duecento pagine uno sguardo su una delle figure più affascinanti del mondo giudaico antico. 



Dicevo del titolo: Voglio che rimanga. Anche per un curioso dei vangeli queste parole di Cristo (Giovanni, 21, 21-22) sorprendono. Perché Gesù rivolto ai suoi e forse proprio a Pietro è così risoluto? Perché “voglio”? Gli studiosi discutono sul rapporto tra la comunità di Giovanni e Pietro, alludendo a una possibile diatriba tra i due clan; lascio agli esperti la soluzione dell’enigma. Ciò che interessa è l’umanità di Cristo che valorizza l’irruenza di Pietro e la dolcezza di Giovanni. Siamo alla scena finale, illuminata dalla brace su cui cuoce il pesce appena pescato, sul lago di Tiberiade, Pietro si arrovella – forse la sua adesione a Gesù è ancora limitata – su chi sia il preferito, ma Gesù gli risponde “se voglio che egli rimanga che importa a te?” 



Attanasio opportunamente commenta: “Con queste parole era come se Gesù avesse detto a Pietro: ‘Se voglio che, anche dopo la mia ascesa la cielo, questa mia preferenza per Giovanni rimanga, che importa a te?’ Questa predilezione ha un compito nella Chiesa che completa e si affianca alla funzione gerarchica affidata a Pietro. [Egli] non può tuttavia pretendere, in virtù di questa posizione di governo, di stabilire la vicinanza e la distanza che Gesù instaura con ciascuno” (pag.192). Ma siamo alla fine del libro che nelle pagine di don Attansio ripercorrono quasi tutti gli episodi raccontati dal vangelo di Giovanni, dal precursore Battista, a Nicodemo, alla samaritana, ecc. 



Di grande effetto il racconto dello scontro di Gesù con i mercanti nel tempio (pag. 69) o del soggiorno con gli amici a Betania, sagacemente commentato da un brano di Alda Merini (pag.136 seg.). 

La prima parte del volume raccoglie sei brevi capitoli di mons. Camisasca; con la sua consumata consuetudine a testimoniare ciò che lo colpisce, egli afferma: “meditando il Vangelo di Giovanni si è condotti quasi per mano, attraverso l’esperienza di relazioni vive, a conoscere esistenzialmente Gesù e, attraverso di lui, a conoscere il Padre” (pag.12). Obbedienza e attesa sono l’intreccio misterioso – sostiene Camisasca – nella vita di ogni credente, così come è stato per i discepoli.

Nelle note in calce sono citati circa sessanta autori a cui Attanasio e Camisasca fanno riferimento. Un buon viatico alla lettura. Ma il segreto del libro sta nella possibile avventura della ragione  a cui esso invita: “rimanere” per capire, l’opposto dell’effimero, del mordi e fuggi che caratterizza la mentalità corrente. Un libro per credenti e per chi voglia aprire l’orizzonte della suo vissuto. 

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