Perché scrivere oggi un libro sull’Europa dell’Est negli anni Ottanta, una realtà definitivamente cancellata con la caduta del Muro e la fine del mondo bipolare? Per nostalgia, mi verrebbe da dire. Nostalgia vera e profonda, nulla a che vedere con quel sentimento sottile e un poco fatuo che inevitabilmente ci prende ad una certa età. Nostalgia di un’umanità diversa che ho avuto la fortuna d’incontrare nell’altra metà d’Europa, schiacciata sotto il peso dei regimi comunisti ma non rassegnata al dominio della menzogna. Gente cocciuta e coraggiosa che ha lottato contro un potere ritenuto invincibile senza cedere alla violenza e con il cuore sgombro dall’odio per affermare il diritto alla verità e alla libertà. Avevano di fronte il male ma erano sorretti dalla fede in un bene più grande. Popoli e nazioni radicati nella tradizione cristiana, risorsa essenziale per un movimento anti-totalitario in quanto pone limiti al potere caduco e terreno dei politici. In questo modo milioni di uomini e donne hanno dato vita ad una rivoluzione autenticamente popolare senza rompere neppure un vetro.



Esattamente l’opposto di quel che accade da tempo sotto i nostri occhi e che proprio in questi giorni sta esplodendo tragicamente sull’altra sponda del Mediterraneo con il dilagare di proteste segnate dalla violenza sanguinaria e dal fanatismo ideologico dove la religione viene usata come una clava per colpire e distruggere il nemico, vero o presunto. Più in generale tutti i movimenti che oggi si vogliono portatori delle istanze della società civile e sventolano la bandiera dell’anti-politica dovrebbero prendere ad esempio le rivoluzioni pacifiche degli anni Ottanta nei Paesi comunisti, riflettendo sull’esperienza di Solidarnosc in Polonia e di Charta ’77 in Cecoslovacchia. Non basta indignarsi per quel che sta fuori, occorre guardare dentro di noi perché “il cambiamento parte dal rapporto dell’uomo con se stesso”, come ci ha insegnato Vaclav Havel in quella sorta di manuale del buon rivoluzionario che è Il potere dei senza potere



Avendo avuto la fortuna (dapprima come inviato del settimanale Il sabato e poi del quotidiano Avvenire) di seguire da vicino per tutti gli anni Ottanta quello straordinario movimento dal basso culminato con la caduta dei regimi comunisti, ho pensato che fosse utile e doveroso raccontarlo. Per rinverdire la memoria di tanti miei coetanei che in quel periodo hanno vissuto con passione e tremore le vicende della Polonia e degli altri Paesi dell’Europa dell’Est. Ma soprattutto per far conoscere alle giovani generazioni nate dopo l’89 un’epopea grandiosa che ha cambiato faccia all’Europa e al mondo e che purtroppo rimane sostanzialmente ignorata nella sua dinamica e nel suo significato. 



Al confronto con l’immensa mole di scritti sui totalitarismi della prima metà del Novecento sono rari i libri sulla fine del comunismo in Europa. Nell’immaginario collettivo si tratta di un mondo scomparso in una notte con il crollo del Muro di Berlino il 9 novembre del 1989, in modo improvviso come la mitica Atlantide. Ma, a dire il vero, il Muro non è crollato, è stato abbattuto. Non in una notte ma nel corso di lunghi anni. La prima breccia nel Muro fu aperta nel 1980 con la nascita di Solidarnosc, il sindacato libero polacco. Nella storia irrompe “il fattore W”, come Walesa, come Wojtyla, l’uno il fondatore, l’altro il difensore di un nuovo movimento operaio che ben presto sarebbe diventato un movimento di popolo capace di contagiare le altre nazioni dell’Europa sovietizzata. 

Non è stata una marcia trionfale ma un cammino pieno di ostacoli e trabocchetti sulla strada verso la libertà, un percorso a zig zag che ho seguito col cuore in gola da Danzica a Praga, da Berlino a Bucarest, dal Vaticano a Mosca, incontrando personaggi illustri come Giovanni Paolo II, Walesa, Havel e tanti eroi anonimi di quella che è stata definita “la rivoluzione non violenta più riuscita della storia”. E poi, nel 1989, ecco che un’incredibile accelerazione spazza via dittature di cemento armato come fossero simulacri di cartapesta. Dalla Polonia all’Ungheria, dalla Germania orientale alla Bulgaria, dalla Cecoslovacchia alla Romania, con un impressionante effetto domino cadono uno dopo l’altro i vari tasselli dell’impero sovietico. Una storia mozzafiato che neanche la più fervida fantasia di uno scrittore avrebbe potuto partorire. Una storia più avvincente di un romanzo che ho voluto raccontare e che, mi auguro, varrà la pena di leggere.

— 
Luigi Geninazzi, “L’Atlantide rossa. La fine del comunismo in Europa”, prefazione di Lech Walesa, Lindau, 2013

 

Leggi anche

CRISTIANI PERSEGUITATI/ Noi, ovunque "stranieri", a Mosul come a MilanoCRISTIANI PERSEGUITATI/ Bhatti: dal Pakistan all'Iraq, l'ideologia nemica della fede è una solaUCRAINA/ Dalla periferia al centro: la rivoluzione della tenerezza