Il testo Un evento reale nella vita dell’uomo, che raccoglie gli interventi fatti nel 1990-91 da don Luigi Giussani ai responsabili universitari del movimento di Comunione e liberazione e le risposte di quest’ultimi alle sue sollecitazioni, costituisce un documento essenziale per rintracciare il cuore della sua proposta educativa ed il dibattito che, in quegli stessi anni, la alimentava. Ma questo testo consente anche di cogliere le distanze che separano don Giussani dalla cultura dell’epoca, permettendo così di comprendere il divario ineludibile che, di fatto, si viene a creare. 



Don Luigi Giussani ha cercato consapevolmente di essere un testimone ed un educatore. Il secondo di questi due compiti è la conseguenza inevitabile del primo: don Giussani è educatore perché sente di essere, prima di tutto, un testimone del fatto cristiano. Tutta la sua esistenza, così come la maggior parte dei suoi discorsi e delle sue riflessioni, traduce un desiderio di educare, colto come conseguenza di questa sua volontà di testimonianza.



Si consolida così una differenza decisiva con il contesto culturale degli anni novanta. Quest’ultimo continua infatti ad essere caratterizzato da una logica dell’intendere a partire dalla quale vengono tracciate le differenze tra i soggetti e misurate le distanze tra i gruppi. Ne scaturisce una identificazione degli schieramenti – culturali e politici al tempo stesso – tra i quali ciascuno è obbligato a collocarsi. A questa rete delle differenze e delle collocazioni, don Giussani antepone una logica dell’esperienza, dove alle categorie politiche dominanti dell’analisi e della presa di posizione sono anteposte quelle esistenziali dell’incontro e dell’avvenimento. 



Una tale differenza di presupposti alimenterà un’incapacità diffusa da parte dell’intellettuale collettivo degli anni novanta di comprendere la reale posta in gioco. Gli osservatori tenderanno a sottodimensionare completamente la dimensione dell’incontro e quella – strettamente connessa – dell’avvenimento a favore delle categorie della differenziazione e della collocazione politico-culturale. Un’intera generazione di analisti, estranei ed indifferenti al movimento di Cl, si dedicherà così a raccogliere gli indizi che avrebbero consentito di recuperare le analisi e rintracciare le appartenenze alle quali un tale movimento non poteva non essere ricondotto.

Emerge così tutta la diversità della proposta educativa rispetto alla cultura dell’epoca. Parlare di evento, cioè di un avvenimento che viene colto dal soggetto in tutta la sua sensatezza e lo conduce a riorientare completamente il proprio modo di guardare la realtà quotidiana, porta don Giussani a sbarazzarsi fin dall’inizio di concetti come quello di fatalità, di caso, di occasione. Per tale strada questi è in netta antitesi con il relativismo allora in rapida ascesa, per il quale la casualità delle vicende umane dei singoli come dei gruppi, è invece la premessa necessaria per dichiararne l’equivalenza. 

Ma ciò lo porta anche alla necessità di riconoscere il concetto di senso e di destino. La percezione di una realtà che sia irriducibile al semplice snocciolarsi di avvenimenti fortuiti, privi di significato, ma possegga invece un senso, costituito dal fine felice al quale ciascuno è destinato, mina alle fondamenta quello stesso disincanto laico del quale si alimenta invece la cultura diffusa post-ideologica, ancora segnata dalla fine delle utopie degli anni sessanta. Al disincanto laico don Giussani contrappone una logica di senso nella quale nulla è banale nell’universo ordinario della vita quotidiana. Nulla è privo di senso se non il concetto – che per don Giussani è semplicemente “insulso” – secondo il quale la vita non abbia alcun significato e al soggetto non resti che “cogliere l’attimo”, cioè l’occasione fortuita, in quanto tale. Il testo traccia pertanto il percorso di una educazione al vivere, all’esistere, colto come anello indispensabile di una relazione con il Padre, dalla cui “inesorabile presenza” non si può sfuggire.

Si è dipendenti dagli eventi, dagli avvenimenti significativi, ma lo si è proprio in quanto questi consentono di realizzare la propria vocazione, di compiere il destino al quale si è chiamati. Accostarsi al dialogo che don Giussani intrattiene con i responsabili universitari di Cl, consente allora di cogliere il filo di una ricollocazione antropologica dell’uomo che segna un confine invalicabile con la modernità. Al soggetto moderno, indipendente ed autoreferenziale, che analizza la realtà, coglie i conflitti che la attraversano e si schiera nel gioco delle collocazioni e della prese di posizione, don Giussani contrappone un soggetto interamente costituito da una relazione significativa, totalmente dipendente dall’esperienza di incontri che gli cambiano la vita.

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