Se dovessi sintetizzare la teologia di Giussani in una frase, lo farei in questo modo: “Ho incontrato il mistero del vero Dio e del vero uomo in Gesù Cristo di Nazareth ed egli è stato, e sempre sarà, il fondamento della nostra stessa realtà, perché egli è il fondamento della realtà di Dio“. Questo è stato vero per Giussani in tutto quello che ha fatto e detto. Dalla lettura della storia della teologia cristiana, protestante e cattolica, in area protestante solo un altro teologo, Karl Barth, è stato così “cristocentrico”.



Di nuovo, è l’esperienza del linguaggio dell’incontro in Cl, e il carisma in atto di Giussani, che confermano la centralità del linguaggio e dell’esperienza dell’incontro. Inoltre, il pensiero protestante e l’esperienza della sua storia, specialmente nei Great Awakenings in America (tre periodi di risveglio religioso dall’inizio del ‘700 alla fine dell’800, ndt), è riempito da un simile linguaggio. Jonathan Edwards è diventato un catalizzatore nel fare del linguaggio dell’incontro il modello mediante il quale il protestantesimo delle sette si espande nelle Americhe. Giussani è senza dubbio collegato a questo, ma non in un modo utilitaristico. Per lui, non è manipolare il linguaggio al fine di ottenere un’esperienza esistenziale, perché vi vede, piuttosto, un nuovo modo di esprimere una realtà che si è sempre impressa nella sua natura religiosa. Il bisogno di una fede personale in Gesù Cristo e del rapporto con Lui hanno animato Giussani.



Sembrerebbe, ancora, che noi protestanti si sia in una posizione di forza relativa a questo proposito e, quindi, cosa avrebbe Giussani da insegnarci? Può darsi che questa fosse la situazione all’inizio del protestantesimo, ma non è più così nel contesto attuale. Giussani ci ricorda ancora una volta che Gesù Cristo di Nazareth, nella sua divinità e umanità, è la chiave per identificare la sostanza della rivelazione così ardentemente desiderata dalla nostra natura umana. Con in mente un interesse simile, Karl Barth fa capire che tutte le eresie cristologiche nella Chiesa hanno una natura o docetica o ebionetica. Cioè, esse coinvolgono o la negazione della divinità (ebionetica) o la negazione della umanità (docetica) di Cristo. Il cristianesimo protestante corre oggi il pericolo di una o di entrambe queste posizioni. Nella situazione attuale del protestantesimo (sia europeo che americano), credo che il pensare e il predicare Gesù Cristo sia diventato qualcosa di imbarazzante. Nel nostro desiderio di rilevanza culturale e di accettazione sembriamo volere ridurre il ruolo di Cristo nella nostra vita ed esperienza religiosa. Siamo preoccupati dalla particolarità di Cristo e dalla “offesa” che potrebbe causare se ci attenessimo esclusivamente all’orientamento cristologico della nostra fede.



Inoltre, e forse più precisamente, Gesù ci provoca troppo! Egli sfida le nostre priorità, mette in discussione le nostre comodità e ci invita a lasciare ciò che ci è caro. Così, noi facciamo di lui un modello di una umanità idealizzata, ma non realmente divina. Oppure, ne facciamo una divinità talmente idealizzata che Egli non può realmente essere uno che soffre con noi per conoscerci intimamente. Talvolta, noi protestanti evangelici siamo del tutto utilitaristi nella nostra cristologia, invocandolo quando abbiamo bisogno, ma altrimenti vivendo come se lui non esistesse. Nella esperienza protestante primitiva, in Lutero, Calvino, Zwingli, negli anabattisti, i puritani e i settari del New England, Gesù Cristo era la vera rivelazione di Dio e il fondamento dell’esistenza umana. Invece, nella trasposizione della nostra concezione rarefatta della natura umana, abbiamo trasformato la nostra umanità nel fondamento dell’esistenza di Cristo.

Nel diciannovesimo secolo, Ludwig Feuerbach criticava giustamente il protestantesimo liberale quando diceva, a proposito del suo pensiero religioso: “Il segreto della teologia è che, dopo tutto, è solo antropologia“. La stessa critica potrebbe essere fatta a qualche espressione di fede protestante evangelica dei nostri tempi. Il modo in cui Giussani affronta il protestantesimo americano ricorda ai protestanti le radici veramente cristologiche del loro desiderio di approfondire la loro esperienza religiosa.

I protestanti farebbero bene a leggere di più Giussani, se non altro per il richiamo al fatto che la loro fede non significa nulla se non testimonia, senza imbarazzi, riduzioni o riserve, la rivelazione di Dio e l’umanità nell’unico Gesù Cristo di Nazareth. “L’incontro storico con questo uomo costituisce un incontro con la visione risolutiva e chiarificatrice dell’esperienza umana“. Dice Giussani: “La nostra fede adulta inizia con la nostra risposta alla domanda di Gesù ‘e voi, chi dite che io sia?’” I protestanti, in America del Nord e in Europa, erano in una buona posizione per rispondere a questa domanda, univocamente e senza ambiguità. Certamente, il protestantesimo delle sette poteva dare una risposta affermativa anche sessant’anni fa. Alcuni gruppi lo possono ancora. Ora, tuttavia, equivoci, prevaricazioni e ambiguità sono all’ordine del giorno quando i protestanti americani vengono posti di fronte a questa domanda “E voi, chi dite che io sia?

Oggi abbiamo bisogno di un Giussani protestante, desideroso di dire che in Gesù Cristo di Nazareth, il Dio-Uomo, “Dio vero da Dio vero e vero uomo da vero uomo“, ci è stata data la rivelazione e di Dio e della nostra umanità, definitivamente e in termini non incerti. Infatti, Gesù Cristo e “l’alba della nostra realtà si appartengono l’un l’altro“.

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