Finalmente anche in Italia si parla sempre più spesso di intercultura e di dialogo tra differenti popoli con tradizioni linguistiche, culturali e religiose differenti. Siamo un Paese che si confronta con il tema dell’immigrazione da moltissimo tempo. I telegiornali con gli sbarchi a Lampedusa rappresentano un appuntamento fisso delle nostre estati da parecchi anni e i confronti, a volte accesi, a volte propagandistici, delle varie forze politiche su questo argomento hanno costituito spesso uno degli spunti per dibattiti e convegni nel corso del tempo. Oggi però, al di là di polemiche o forzature, è importante più che mai avere a disposizione analisi serie e studi sul campo che ci consentano di interpretare la situazione e capire in quale direzione occorre muoversi per favorire non solo, o non soltanto, l’integrazione di persone che arrivano da altri paesi, ma anche stimolare il confronto e avviare una relazione più proficua e intelligente per tutti gli attori coinvolti. Vivere in un mondo globale, infatti, significa comprendere che il movimento delle persone da uno stato all’altro, non è semplicemente naturale, ma rappresenta anche un momento di crescita complessiva. Per chi, lasciando il proprio Paese, cerca nuove opportunità in un ambiente nuovo e con maggiori potenzialità rispetto al luogo di origine, ma anche per chi, accogliendo persone che arrivano da un’altra nazione, si trova dei nuovi cittadini in grado di poter dare un contributo importante alla vita del territorio che li ospita (pensiamo, ad esempio, al caso delle badanti provenienti dall’est Europa che hanno supportato in modo straordinario tante realtà famigliari italiane). Ecco per quale motivo è importante conoscere le realtà culturali che hanno un impatto sull’integrazione di queste persone e che, alla fine, esercitano, un influsso positivo sul dialogo interculturale. Per farlo, possiamo farci guidare da Mariangela Giusti, professore associato all’università degli Studi di Milano-Bicocca che da anni si occupa del tema. In “Immigrazione e consumi culturali” (Editori Laterza, 2011) ci propone alcuni interessanti spunti che riguardano i luoghi fisici o virtuali di incontro e di scambio. In primis è interessante soffermarsi sui musei, con i positivi esempi di Modena con il Museo Civico Archeologico Etnologico, oppure i Musei Civici di Reggio Emilia o ancora la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo. “Gli spazi di un museo – sostiene Mariangela Giusti – sono di per sé educativi, sono spazi di crescita e di apprendimento dove ciascun utente è un soggetto unico e la capacità di ciascuno di mescolare, assimilare, rielaborare frammenti di culture diverse può diventare una condizione per la crescita di tutti. I musei sono luoghi della memoria collettiva e le scuole possono essere parte attiva del lavoro che essi compiono e promuovono”. La positività e il gradimento di queste iniziative è testimoniato dalle interviste fatte con gli immigrati nel corso della ricerca che sta alla base del lavoro citato poco fa. Nei musei, gli immigrati hanno trovato modo di veder valorizzata la propria cultura e di poter conoscere in maniera più approfondita quella del nostro Paese in un connubio che avvicinava le differenti realtà, favorendo l’inserimento nel tessuto sociale. Di natura completamente differente, invece, un altro posto che costituisce un punto di riferimento per i più giovani. “Per i ragazzi di 16-25 anni – spiega ancora Giusti – dopo la scuola si crea una fascia di vuoto dove ciò che conta è solo il consumo di beni negli shopping malls…il consumo è un’attività correlata all’espressione dell’identità, nel senso che più che acquistare prodotti si acquistano simboli. Consumare significa comunicare qualcosa di sé: gli stili di consumo sono anche stili di comportamento in quanto le identità sociali si esprimono e si stabilizzano anche tramite i consumi”. 



In questo caso non ci sono esempi di esperienze dirette positive da portare, ma l’analisi ci conduce a riflettere sulla potenzialità ed anche la responsabilità che questi luoghi hanno nei confronti dei più giovani per proporre modelli educativi validi che non siano semplicemente ispirati al consumo, ma che attraverso il consumo possano favorire il dialogo e il confronto. Non poteva poi mancare il web. “Le seconde generazioni – dice Mariangela Giusti – sono protagoniste in diversi portali: www.secondegenerazioni.it, www.associna.com sono strumenti di vita e di cultura”. In particolare se parliamo del sito creato dai figli di immigrati cinesi, risulta evidente tanto la voglia di recuperare la tradizione (non vissuta direttamente) del proprio Paese, quanto quella di forgiare una nuova identità che sia tanto italiana quanto cinese. Ecco allora che Internet si trasforma in un mezzo di comunicazione di elevatissima potenza con un impatto virale assolutamente positivo sull’intera comunità in senso bidirezionale. Un altro esempio efficacissimo, è Crossing Tv, una web tv creata da una redazione interculturale di ragazzi tra i 16 e i 25 anni avviata a Bologna nel 2008 con la volontà di superare gli stereotipi tradizionali e i pregiudizi attraverso la conoscenza. Per chi ama la carta stampata invece, “Yalla Italia” è un mensile con “l’obiettivo di dar forma alle seconde generazioni e di creare un ponte tra la società italiana e la cultura araba…abbattendo il punto di vista diffuso che individua come caratteristica portante dell’identità musulmana quella di essere estremista”. Questa rapida carrellata cosa ci dice? Che c’è tanto da fare. Che possiamo usare tutti gli strumenti culturali che abbiamo, in base alle nostre affinità o competenze, per trovare luoghi (musei o centri commerciali), modi (reali o virtuali), tecniche (la carta o la web tv) per favorire il dialogo e per far diventare sempre più l’intercultura parte della nostra cultura. L’unico peccato mortale sarebbe l’immobilismo o l’indifferenza.

Leggi anche

POLEMICHE/ Cadorna, la Grande Guerra è finita ma intorno a lui continua ancoraLETTURE/ “Uno così”: Giovanni Brusca e Marcello Cozzi, anche Caino cerca un abbraccio