Aveva ragione Aristotele a dire, se davvero ha detto ciò che gli è stato attribuito: “O miei amici, non c’è nessun amico”? Resta certo che la provocazione del detto, la sua paradossalità e il pungiglione del sospetto che insinua costringono a interrogarsi, sempre di nuovo, sulla possibilità dell’amicizia, sul suo senso, su ciò su cui essa si fonda, sull’apparenza e la realtà nel sociale. Si apre un nuovo decennio di riflessione sull’amicizia, dopo due decenni di lavori dedicati per lo più a fare tesoro della tradizione. Che, quando si parla di amicizia, le cose non siano semplici lo sappiamo fin dall’antichità: non è un caso se il Liside, il dialogo di Platone dedicato all’amicizia, è aporetico, cioè non pare portare ad alcuna conclusione. 



Proverò a fare il punto sulla situazione attuale, riflettendo su quali prospettive abbiamo oggi, passando attraverso una sintesi del percorso compiuto fin qui. 

Gli anni Novanta in Italia, in ambito filosofico, furono segnati da un vivace interesse per l’amicizia. Luigi Pizzolato, nel suo importante L’idea di amicizia nel mondo antico classico e cristiano (1993), ricostruiva il pensiero degli antichi sull’argomento. La sua non era un’impresa da poco, perché sembrava dare modo di ripercorrere la maggior parte di ciò che sul tema l’umanità aveva da dire, se avesse avuto ragione Nietzsche, quando scriveva: «L’antichità ha vissuto l’amicizia fino in fondo e con energia, l’ha compiutamente pensata e l’ha portata quasi con sé nella tomba » (Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, § 503). 



Che però Nietzsche avesse ragione fu messo in dubbio dai lavori di Massimo Baldini: Che cos’è l’amicizia (1998) e L’amicizia secondo i filosofi (1998), La storia dell’amicizia (2001). Essi, che si sono estesi fino al nuovo secolo, hanno mostrato come sull’amicizia vi fosse stata una effettiva riflessione anche in epoca moderna e, in seguito, in epoca contemporanea. Attraverso il minuzioso lavoro di Baldini, fu possibile accedere a una ricca quantità di testi classici e farsi un’idea dei temi ricorrenti. A questa stagione gloriosa seguì una certa stanca, pur segnata da contributi di rilievo, come per esempio la ricognizione del tema dell’amicizia in Agostino, svolta da Marie A. McNamara (L’amicizia in S. Agostino, 2000), la riedizione delle pagine di Matteo Ricci sull’amicizia (Dell’amicizia, 2005), fino a un lavoro che osò finalmente assumere una impostazione teoretica e non più storica: La necessità dell’amicizia (2009), curato da Marco D’Avenia. 



Per completare questo quadro, bisognerebbe poi ricordare almeno le riprese e discussioni, in filosofia politica, del lavoro di Carl Schmitt, teso a dare conto del politico sulla base dell’opposizione amico-nemico; andrebbe richiamato il problematicismo di Derrida, col suo Politiche dell’amicizia (risale al 1994 e, un anno dopo, compare in traduzione italiana); e andrebbe ripresa l’analisi fenomenologica di Dietrich von Hildebrand, non direttamente dedicata all’amicizia, eppure capace di ricomprendere tale tema in una prospettiva più ampia: L’essenza dell’amore (in traduzione italiana nel 2003). 

Ad ogni modo, dopo questa seconda fase, proprio nella seconda decade del Duemila sembra essersene aperta una terza, quella che pensa all’amicizia osservandola nel suo opposto: l’inimicizia. Forse questo annuncio è esagerato, perché al riguardo vi sono solo due testi di particolare rilievo. Ad ogni modo essi costituiscono una interessante linea di tendenza. Il primo testo da ricordare al riguardo è quello di Umberto Eco, Costruire il nemico e altri scritti occasionali (2011), mentre il secondo è il libro uscito quest’anno: Tu sei il mio nemico. Per una filosofia dell’inimicizia, di Alessandra Papa.

Detto in sintesi, gli anni Novanta del secolo scorso hanno visto svolgersi in Italia una ricognizione dei classici sul tema dell’amicizia. Nel primo decennio del nuovo secolo, da un lato si è continuato a guardare ai classici (studiando il pensiero di alcuni, riproponendo i lavori di altri), dall’altro si è cominciato a riflettere teoreticamente sul tema. Col presente decennio si comincia a notare il tentativo di intraprendere vie inedite, di esplorare percorsi nuovi, a costo di uscire fuori strada, sapendo, nel caso, di entrare su una nuova pista.

Per capire verso dove sarebbe interessante andare, proverò a sollevare alcune domande e suggerire di seguito delle piste. In primo luogo, bisognerebbe chiedersi «che cos’è l’amicizia?». Infatti, è stato detto quali tipi di amicizia ci sono già da Aristotele; dalla fenomenologia di von Hildebrand è stato identificato cosa ci rende amici; persino, di recente, Alessandra Papa ha studiato il caso limite dell’inimicizia. La domanda ontologica sul che cos’è l’amicizia non ha però ancora trovato una risposta sistematica e definitiva. In fondo, dovrebbe essere la prima domanda da porre, per non rischiare poi di parlare a casaccio. Dire che l’amicizia è una forma di legame sociale infatti non basta, perché lo stesso potrebbe essere detto anche per il legame coniugale, o per quello parentale. Qual è dunque lo specifico dell’amicizia? Si tratta di un solo tipo di legame sociale, oppure il termine copre forme di legame fra loro molto diverse e magari irriducibili? Un po’ come Aristotele diceva della parola «essere», quando diceva che «si dice in molti modi».

Un ulteriore quesito che mi pare urgente, circa l’amicizia, è quello che riguarda il suo limite. Molti prospettano le cose in maniera strettamente polare, sembra che o si è amici, o si è nemici. Forse però vi è una terra di mezzo. Si direbbe che essa raccoglie coloro verso cui si prova indifferenza. Una compiuta fenomenologia dell’amicizia dovrebbe allora confrontarsi con lo studio del nemico, ma anche dovrebbe fare i conti con la massa grigia degli indifferenti. A farlo si metterebbe in risalto da un lato l’importanza dell’elezione ad amico, dall’altro la drammaticità dello status di nemico e la sua radicale distanza. A meno che non si creda che gli indifferenti sono amici, perché «chi non è contro di noi è con noi». Come ribattere a quest’ultima tesi?

Vi sono poi relazioni sociali, hanno mostrato gli studiosi degli atti linguistici, che istituiscono ruoli. L’amicizia, l’inimicizia e l’indifferenza sono istituiti da atti sociali (come si nominava un cavaliere, proferendo la formula «ti nomino cavaliere» e posando la spada sulla sua spalla) o non sono piuttosto l’esito dell’emergere nella quotidianità di legami e di forme di relazione? Se quest’ultima è la soluzione, le relazioni sociali emergenti dovrebbero essere studiate, nelle loro modalità di emergenza e di dissolvimento, attraverso una specifica analisi fenomenologica.

Alessandra Papa, nel suo libro già citato, riporta il passo del Vangelo di Luca: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14, 26). Papa a partire da questo riflette sulla possibilità dell’odio per amore (pp. 64ss). è però interessante che tra le categorie «da odiare» riportate nel passo non ci siano gli amici. Ad ogni modo, è possibile odiare un amico per amore? Il tema del rapporto tra legame amicale e affettività è tutto ancora da esplorare.