Ho perso un amico, il mio maestro. Colui che mi ha spinto a scrivere dei romanzi, che mi ha guidato in alcune scelte anche esistenziali, determinanti, che mi ha recensito spesso e voluto molto bene. Mi lascia l’amaro in bocca non averci potuto parlare per l’ultima volta, come facevamo al telefono o nella sua casa di Vigna Clara, a Roma, dove dal super attico, uno dei punti più alti della capitale, Roma sembrava si potesse abbracciare.
È morto lo scrittore Alberto Bevilacqua, lunedì 9 settembre. Aveva 79 anni ed era ricoverato in una clinica romana. Nato a Parma, è stato anche poeta, regista, sceneggiatore e giornalista. Da gennaio era ricoverato in terapia intensiva per uno scompenso cardiaco che lo aveva colpito l’11 ottobre 2012 a seguito all’aggressione del batterio klebsiella. La compagna Michela Miti mi ha riferito che ha avuto una degenza a fasi alterne: a segni di miglioramento nelle sue condizioni, seguivano fasi di improvviso peggioramento con febbri notturne. Alberto Bevilacqua, che ha ricevuto da me il Premio alla Carriera nell’ambito della prima edizione del “Città di Fabriano”, nel 2008, è stato un grandissimo autore. Nato a Parma, si ricordano i romanzi La califfa (1964); Questa specie d’amore (1966); L’occhio del gatto (1968); Il viaggio misterioso (1972); Il curioso delle donne (1983); La grande Giò (1986); I sensi incantati (1991); GialloParma (1997); Gli anni struggenti (2000); Viaggio al principio del giorno (2001); Parma degli scandali (2004); Lui che ti tradiva (2006). Da segnalare le opere di narrativa Lettera alla madre sulla felicità (1995) e Tu che mi ascolti (2004), incentrate sul tema del rapporto fra madre e figlio, e Il Gengis (2005), romanzo articolato che ha per tema la gestione famelica del potere economico. Vanno citate anche le raccolte di versi Le poesie (2007) e Duetto per voce sola. Versi dell’immedesimazione (2008); i libri di racconti brevi apparsi sotto il titolo Storie della mia storia (2007) e Eros II (2009); l’ultimo romanzo L’amore stregone (2009) e la raccolta di scritti Roma califfa (2012), ispirata alle figure ideali della Madre e della Città. Nel 2010 uscì il Meridiano Mondadori con alcune delle sue opere romanzesche maggiori.
Come regista ha diretto la trasposizione cinematografica dei suoi romanzi La califfa (1970); Questa specie d’amore (1971); La donna delle meraviglie (1985); Attenti al buffone (1975); Le rose di Danzica (1979) e Tango Blu (1988).
Bevilacqua ha raccontato un mondo partendo dalla Parma post-bellica, una città divisa in due, separata da un torrente che divideva la parte ricca da quella povera ma artistica. Nell’area del Po, misteriosa e affascinante, c’era il paradiso e insieme l’inferno. Era abitata da un’anima vitale ed espressiva che muoveva ogni cosa. Parma equivaleva ad un’anima di supporto.
Una volta Bevilacqua mi disse: “Ho avuto la fortuna di essere stato ragazzo a metà degli anni Cinquanta, quando a Parma venivano tutti i letterati, da Gadda a Pasolini. Bertolucci fu il mio professore al liceo. Scoprì le mie poesie e fu il primo a parlarne”. La califfa, nella versione narrativa e cinematografica è un capolavoro, la storia cruenta delle passioni e della ribellione di una donna bella, autentica e fiera, sullo sfondo di una Parma dai contrasti ideologici. La notorietà del romanzo è stata amplificata dal film interpretato da una indimenticabile Romy Schneider insieme a Ugo Tognazzi.
Grandi prove anche il romanzo Questa specie d’amore e il metaracconto Viaggio al principio del giorno. Dalla memorabile figura della madre nacque il senso di quella “follia” il cui filo rosso serpeggia dall’inizio alla fine del viaggio: male capzioso paradossale, ma anche luce redenta. Il tutto in un ambiente in cui spiccano figure di costante e viscerale passione. Viaggio, poi, nei labirinti del mondo contemporaneo, per farsi testimoni, in prima persona, e per smascherare l’epopea barbara di dittature, per svelare segreti inquietanti sui quali la storia ha steso il velo della reticenza. Viaggio, infine, per coinvolgersi con molti protagonisti del Novecento, grandi interpreti di verità e poesia (tra gli altri, Borges, Ionesco, Mishima, Fellini, Rossellini, Fassbinder, Welles). La scrittura di Bevilacqua non era mai sbavata, ma lineare, evocativa, spesso anche metafisica, con un ritmo suadente. Una sorta di mimesi con le cose e la gente della sua terra, dove le narrazioni orali del Po hanno sempre rappresentato un’insostituibile matrice creativa.