Caio non era zoppo. Si “sentiva” zoppo. C’è una bella differenza. Aveva un fisico perfetto e due gambe perfettamente funzionanti. Il dottore che l’aveva visitato più volte gli aveva addirittura assicurato che, con quel fisico che aveva, avrebbe potuto dedicarsi professionalmente al podismo. Ma non c’era niente da fare: Caio riteneva di essere zoppo di piede destro e quando camminava simulava la zoppia, o meglio, l’aveva assunta come comportamento quotidiano. 



Gli amici cercavano invano di convincerlo e di fronte alla sua ostinazione qualcuno lo compativa, qualcuno lo prendeva in giro, qualcun altro provava anche irritazione, qualcuno più semplicemente si dimostrava indifferente di fronte al suo caso oggettivamente singolare. Chi gli voleva più bene cercava di scuoterlo, di farlo ragionare. Qualcuno gli proponeva una seduta dallo psicologo, nel sincero tentativo di aiutarlo a recuperare se stesso. Niente da fare: Caio oltre che zoppo si dimostrava sordo. Chi insisteva troppo si sentiva gridare in faccia “razzista!”. Così accadde che Caio restò solo, perché anche quelli che gli volevano bene lo abbandonarono. Insisteva a sentirsi uno zoppo? E allora che continuasse a farlo! In fin dei conti nella sua fissazione non faceva male a nessuno.



Il problema si creò quando Caio, nel suo sentirsi zoppo, cominciò ad avanzare delle pretese. Ad esempio voleva a tutti i costi il bollino da esibire sulla macchina, per accedere ai parcheggi riservati ai portatori di handicap. Oppure pretendeva la pensione, o particolari privilegi nell’assegnazione di una casa popolare. Insomma, voleva che la sua zoppìa, come dire, percepita, fosse riconosciuta come un dato di fatto. Voleva che dalla sfera soggettiva si passasse automaticamente a quella oggettiva. 

Ed era particolarmente violento ed agguerrito. Tutti quelli che si opponevano si sentivano dare del razzista o, con un neologismo da lui stesso inventato, dello zoppòfobo. Inoltre cominciò a mettere in atto azioni clamorose, sulle quali i media (anche per la singolarità del fatto e del personaggio) si gettarono a capofitto, facendogli una straordinaria pubblicità. Fondò un’associazione di persone che come lui si sentivano zoppe e le diede un nome latino che sembrava inglese, i claudicans, per fare più effetto. Così intercettò la pietà e la sensibilità delle associazioni per i diritti delle minoranze, di molti filantropi e perfino di buoni cristiani: se si sentiva zoppo, quel pover’uomo, perché togliergli quell’illusione? Perché impedirgli di esserlo? Perché non dargli il posto macchina riservato? Perché non assegnargli una pensione? I politici rimasero un po’ spiazzati, e poi avevano altro da fare. Gli concessero tutto quello che voleva, purché non facesse tanto casino: bollino, pensione, alloggio popolare. Per giustificare questa novità, fecero una legge apposta, sul principio che chi si sente di essere qualcosa, lo è per davvero.



Sono passati appena dieci anni da questi fatti. Oggi il panorama si è molto allargato, grazie ad una reazione a catena. I tipi umani si sono moltiplicati. Non ci sono solo i claudicans, ma, per esempio, anche i tree-people, che si sentono alberi e che hanno ottenuto il diritto di avere ciascuno un’aiuola da occupare nel proprio quartiere; ci sono i birds, per i quali i comuni costruiscono speciali voliere nelle quali quelli che si sentono uccelli vivono in comunità; ci sono le wolf-women, le donne-lupo, che vanno in giro vestite da lupe, ululano tutto il giorno e vestono da lupacchiotti i loro cuccioli-figli. A un tizio che si sentiva Nerone, il comune di Roma ha riconosciuto il diritto di ricostruirsi la casa sul Palatino. Qualche problema in più (peraltro subito superato) si è creato con uno che si sente Hitler.

Nella nostra società dalle identità liquide, basta sentirsi qualcosa per esserlo veramente ed ottenere così quello che si vuole. E di tutto questo dobbiamo ringraziare il nostro amico Caio, che, nel frattempo, mi dicono, è tornato savio. Cioè, una mattina si è alzato pensando che era bello saltellare e camminare normalmente e che il suo corpo poteva farlo. Solo che non può più farlo, perché è costretto, tutto il giorno, a fare lo zoppo finché non torna a casa e, nel segreto delle quattro mura, finalmente può essere se stesso. Fuori di lì, deve essere diverso per forza. È un suo diritto!