La notiziafatta circolare nei giorni scorsi dalla Warner Bros per gli appassionati di cinema e letteratura fantastica era di quelle ghiotte: l’autrice di Harry Potter, l’inglese J.K. Rowling ha deciso finalmente di accettare l’offerta che da tempo la Warner le proponeva: scrivere la sceneggiatura di un film tratto da un suo volume, un libro di cui si parlava tra i ragazzi della saga di Hogwarts, e che negli scorsi anni in seguito è stato pubblicato davvero, per beneficenza, attribuendolo fittiziamente aNewt Scamandro, famoso magizoologo, ovvero esperto nella cura delle Creature Magiche.
Il libro è appunto Fantastic Beasts and Where to Find Them, in italiano Gli animali fantastici: dove trovarli. Il film, o più probabilmente la serie di film, avrà come protagonista lo stesso Scamandro, di cui la romanziera ha già tracciato una biografia (sappiamo che il nipote Rolf sposa Luna Lovegood, una delle più simpatiche protagoniste della saga di Hogwarts). Di sicuro nella nuova produzione non ci sarà il ritorno di Harry, ma i lettori si ritroveranno a casa, come confidato dall’ormai ricca penna britannica: “Anche se sarà ambientato nella comunità mondiale di maghi e streghe nella quale sono stata così felice per 17 anni, ‘Fantastic Beasts and Where to Find Them’ non è né un prequel né un sequel della serie di Harry Potter, ma un’estensione del mondo dei maghi. Le leggi e le usanze della società magica nascosta saranno familiari a tutti coloro che hanno letto i libri o visto i film, ma la storia inizierà a New York, 70 anni prima dell’arrivo di Harry“.
Non un prequel, dunque, ma quello che in gergo si definisce spin-off, ovvero la filiazione di una serie da una precedente, di una storia dall’altra. Un film che forse definirà il futuro artistico della scrittrice di Edimburgo, che aveva assicurato che mai più avrebbe scritto di Harry Potter, una volta terminata la saga con “I doni della morte”. E in effetti la seconda donna più importante e famosa della Gran Bretagna (dopo la Regina, ovviamente) aveva esordito poco più di un anno fa nella letteratura mainstream con un romanzo uscito tra molte aspettative, Il seggio vacante, che tuttavia non ha ottenuto il successo né della critica né del pubblico. La Rowling sembra dunque condannata a ripercorrere le orme di un altro grande scrittore, lo scozzese Arthur Conan Doyle, il cui nome si legò indissolubilmente a quello del suo personaggio più fortunato, Sherlock Holmes, nonostante tutti i tentativi operati dal celebre medico scrittore per liberarsene, magari anche facendolo morire. Doyle voleva dedicarsi alla sua passione preferita, il romanzo storico, ma a furor di lettori fu quasi costretto a continuare a dare vita alle avventure del detective di Baker Street.
Così JKR deve ora tornare tra bacchette magiche, tuniche e animali fantastici. Si tornerà quindi a discutere ancora una volta di questa letteratura dell’immaginario che tanto infastidisce − da cinquant’anni, da Tolkien e Lewis − una critica letteraria che mal sopporta una letteratura di questo tipo, condannata di volta in volta come infantile, o conservatrice, o troppo cristiana. Un rischio, quest’ultimo, in cui non è incorsa l’opera della Rowling, che al contrario è stata a volte oggetto di critiche molto aspre proprio da parte cristiana, da parte di fondamentalisti preoccupati che queste storie fossero una “istigazione all’esoterismo”.
In realtà, la lunga saga letteraria di Harry Potter può essere definita in vari modi, e si presta a tante letture. Oltre che essere uno dei pilastri della New Fantasy del terzo millennio, è innegabile che l’opera di J.K. Rowling rifletta alcuni temi classici della narrativa degli ultimi due secoli, il primo dei quali è quello del Bildungsroman,ovvero il cammino di un giovane attraverso svariate peripezie, magari anche crisi personali, fino alla maturazione, fino all’immancabile happy end. In questo percorso il giovane trova solitamente un maestro, un mentore, fin dai tempi dei racconti del ciclo bretone, con il giovane Artù guidato da Merlino, fino alle opere del romanticismo britannico, ai giovani eroi di Walter Scott, come David Balfour, o agli sventurati ragazzi di Dickens, come Oliver Twist e David Copperfield. Da questo punto di vista anche Harry Potter ha i suoi maestri adulti, in particolare Albus, ma è innegabile che nell’epopea di Hogwarts un ruolo fondamentale venga interpretato dal valore dell’amicizia. In tal senso la Rowling si distacca dallo schema narrativo della letteratura di formazione classica, per accostarsi invece come vedremo a due giganti della narrativa del Fantastico del ‘900 letterario inglese: J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis.
Nelle avventure di Harry Potter si può intuire la visione del mondo dell’autrice, che descrive il contesto del mondo attuale postmoderno portando il lettore da una visione di uomo individualista verso una visione di uomo guidato da valori morali, quali la scelta del bene, il dono, il sacrificio, l’amicizia, l’amore. È così messo in risalto come il successo ottenuto senza fatica, la ricchezza, una vita eterna su questa terra, non sono niente, sono solo illusioni e come ciò che veramente conta sono l’impegno, l’amicizia, l’amore.
Tra tutti questi valori particolarmente sottolineato e sviluppato è quello dell’amicizia. Sembrerebbe perfino scontato, si potrebbe obiettare, che in una storia di adolescenti sia l’amicizia, piuttosto che l’amore, il sentimento dominante. Tuttavia è di grande interesse il modo con cui l’autrice lo affronta. Come si diceva in precedenza, a Hogwarts non ci sono solo maestri e mentori, ci sono anche amici. C’è quello che gli esperti di pedagogia chiamano la Peer Education, l’educazione all’interno del gruppo dei pari.
Troviamo innanzitutto una compagnia di amici piuttosto stabile – e la stabilità è garantita dall’istituzione, ovvero dal “gruppo-classe” − che evolve nel tempo, che cresce insieme. Ogni libro della saga si configura anche come un tassello di una trama più estesa che era iniziata ben prima del primo libro e finisce con l’ultimo capitolo del settimo facendoci intravvedere un ulteriore orizzonte.
Il gruppo dei pari di Hogwarts rappresenta una forma di aggregazione sociale spontanea tipica dell’età adolescenziale e giovanile che riveste una grande importanza nel processo di crescita degli individui, una sorta di palestra per imparare a divenire adulti.
Il gruppo dei pari che si muove intorno al protagonista centrale, Harry, è rappresentato da ragazzi uniti inizialmente da un semplice spirito di appartenenza, nella migliore tradizione dei college britannici: la prima patria è la Casa, ovvero il collegio, con i suoi colori, i suoi simboli, la sua storia, la sua tradizione. Le amicizie nascono innanzitutto all’interno di questa appartenenza, che sia di Grifondoro come di Serpeverde come delle altre due case: è il primo luogo di aggregazione, di appartenenza, di identificazione. Tutto comincia da una sorta di cameratismo, ma da quel momento in poi sono aperte le possibilità per altri rapporti, più profondi, più intensi, più privilegiati.
È l’amicizia che sconfigge definitivamente Voldemort.
Gli aspetti fondanti delle amicizie narrate da J.K. Rowling sono molteplici e tutti degni di nota come, ad esempio, il sacrificio, oppure la fedeltà che necessariamente deve legare un gruppo di amici. Lungi dal presentare amicizie e rapporti idilliaci, l’autrice è molto realista quando deve descrivere questi sentimenti e non cade nella tentazione di parlare solo degli aspetti positivi di un’amicizia autentica, ma i personaggi da lei descritti non sono esenti da momenti di crisi anche profonda nelle loro relazioni.
Un realismo all’interno della dimensione fantastica che probabilmente è stato il vero elemento di attrattiva e di successo di una saga che ora, grazie a Nwet Scamandro e i suoi animali fantastici, ripartirà per la gioia di tanti lettori e forse la malinconica resa dell’autrice che metterà da parte − almeno per ora − altre ambizioni letterarie.