Non amo particolarmente Roberto Vecchioni e la sua musica e sinceramente non so proprio se sia degno del premio Nobel. Posso tuttavia ricordare di averlo sentito parlare nel corso di un’intervista pubblica a proposito del suo ultimo libro che aveva appena scritto, “Scacco a Dio”. Devo dire che se è vero, come lui stesso aveva ammesso, che dopo 50 anni di ateismo era diventato, a modo suo, un credente, allora è Dio che ha dato scacco a lui. Puoi combatterlo, puoi negarlo, puoi convincerti della sua inesistenza, ma prima o poi col buon vecchio Dio devi fare i conti.



Da questo punto di vista è stato anche sorprendente sentire un uomo di cultura, un professore, che fu anche assistente di Storia delle religioni dopo la laurea in Lettere, che si stupisce finalmente con la semplicità di un bambino davanti ad un dato facilmente constatabile: la genialità di certi scrittori (i suoi amati Saffo, Catullo, Shakespeare), o di certi artisti o di certi musicisti è di per sé una finestra sull’esistenza di Dio. Tanta genialità, rifletteva Vecchioni, non può essere sprecata nella stupida distruzione generale. Tutto questo fiume di sublimità deve venire da qualche parte e non può sfociare nello stupido nulla.



Un argomento importante, sul quale vale sempre la pena di riflettere. Ma di certo non nuovo. È un po’ la scoperta dell’acqua calda. Forse sarebbe bastato leggere il Libro della Sapienza, dove all’elenco delle manifestazioni del genio umano si aggiungono le perfezioni della natura. Sì, bastava leggere, ma è anche vero che finché uno a certe cose non ci arriva da solo, non c’è libro che gliele può insegnare.

Dunque, Vecchioni è arrivato a postulare l’esistenza di Dio e, con espressione bella e poetica, ci diceva che di Dio noi abbiamo solo una parola, uno schizzo di colore, una nota. Dio è il poema, l’affresco, la sinfonia. Ma noi nelle mani possediamo poco più di nulla. Anche questo è molto bello, e anche questa ammissione di piccolezza di fronte a Colui che è immensamente grande fa parte della sapienza dell’umanità, da millenni e millenni, almeno fino a quando non sono arrivati i filosofi atei a mettere forzatamente in dubbio quello che un selvaggio analfabeta ha sempre saputo benissimo. E con Dio vanno l’amore, la felicità, la speranza, la vita stessa. Bello anche questo.



C’era, nelle parole di Vecchioni, anche la constatazione che Dio si è manifestato nel mondo e nell’uomo, ma poi “se ne è andato” ed ha lasciato gli uomini da soli a costruirsi le proprie divinità per “salvarsi la vita”. Dio è silenzioso e questo suo silenzio è assordante. Vecchioni lo confessava apertamente. L’uomo è orfano di Dio.

Bene, fatte tutte queste belle premesse, cosa ti aspetteresti? Che l’uomo che ha intuito Dio gli lanci il grido che Manzoni mise in bocca all’Innominato: “Se ci sei manifestati!”. Insomma, ti aspetti un libro del tenore delle Confessioni di Sant’Agostino, pieno di angosciose domande, della coinvolgente testimonianza di un uomo che batte continuamente contro il muro del Mistero e cerca una risposta. E poi la trova, non a partire da se stesso, ma dalla comunicazione stessa di Dio. Ti aspetti che l’orfano scriva una lettera piena di amore al Padre, confessandogli il freddo che sente intorno, a causa della sua assenza.

Ma ecco il colpo di scena: «Il mio Dio non è di quelle divinità create o ricercate dagli uomini per salvarsi la vita. Questo libro comicamente teologico è una ricerca personale sulle domande banali: Dio esiste? Cos’è la fede? C’è il libero arbitrio? Nel testo Dio risponde e dimostra di esistere tramite una sua distrazione, il caso, che permette agli uomini di dargli scacco liberamente».

Direi che qui è testimoniato il particolare privilegio del deista, di Vecchioni come di Voltaire come di qualsiasi altro. È un privilegio strano, che possiamo sintetizzare così: di Dio il deista dice di non sapere niente, oltre quello che ci è consentito da qualche banale constatazione razionale e che è solo una briciola di quello che Dio è realmente. Però poi si permette di scrivere libri su Dio, addirittura di mettergli in bocca delle risposte! E ovviamente lo fa parlare contro quelli che sulla terra parlano in loro nome.

Di Dio il deista non sa niente, ma una cosa la sa: il Dio delle religioni (anche e forse soprattutto di quelle rivelate, con le loro chiese) è solo una caricatura di Dio. Notevole. Da un’ammissione di sconfitta, di non sapere, non deriva logicamente un tacere, una sospensione totale di giudizio. No. Il deista parla, sproloquia, giudica, e, guarda un po’, in nome di Dio!

Nel suo discorso Vecchioni ha detto che noi non sappiamo niente di Dio, di questo Dio che “se ne è andato” e che il brutto è proprio quando, nonostante ciò, ci permettiamo di giudicare gli altri a partire da Dio. Bel ragionamento, ma è proprio quello che ha fatto lui! Ditemi dove sta la coerenza. Ditemi se non è schizofrenia. Il Dizionario Filosofico del deista Voltaire è tutta una requisitoria contro le idee di Dio sparse nel mondo. Gli uomini, lo diceva anche Vecchioni, si sono inventati il loro Dio. Quello che sorprende è che Vecchioni non abbia il dubbio che questa conclusione venga da uno che a sua volta si è inventato la propria idea di Dio. Singolare privilegio, quello del deista, di essere in contraddizione con se stesso, senza porsene minimamente il problema!

Insomma, alla fine della chiacchierata di Vecchioni percepivo l’approccio tutto professorale al problema di Dio. Il dio di Vecchioni, come quello del deista, è una realtà metafisica che assomiglia molto ad un’idea filosofica. È un parto dell’uomo che assomiglia molto al carattere dell’uomo che l’ha partorito.

Per adesso, pare, Vecchioni è arrivato qui. Non c’è ancora il Dio di Cristo, come lo definiva Pascal, il Dio fatto carne, quello che non se ne è andato, ma che è venuto. C’è da augurare al professore-cantautore che questo Dio lo incontri. E che ci racconti il miracolo. Forse in un prossimo libro…